sabato 26 settembre 2009

Maroni contro tutti


Il Ministro Roberto Maroni è intervenuto alla conferenza sull'immigrazione organizzata dalla Cattolica di Milano, dove ha ricevuto sonore contestazioni (La Stampa) e siccome adesso va di moda, seguendo l'esempio del suo capo di governo, ha attaccato l'Unione europea perché non farebbe abbastanza contro la clandestinità e per l'integrazione. Ora sulla prima parte, nulla di novo sotto il sole, anche perché per Maroni “contrasto all'immigrazione clandestina” significa cacciare a pedate tutti quelli che non hanno il permesso di soggiorno. Ma come può avere la faccia tosta di dire, lui, che l'Europa non ha fatto nulla “sia sui progetti di integrazione sia nel problema specifico dei rifugiati”? A me pare tanto la storia del bue che dice cornuto all'asino. Come può uno per cui accoglienza significa internare nei centri di identificazione e che dice che con i clandestini “bisogna essere cattivi”, uno che il problema dei rifugiati non se lo è mai posto perché ha respinto tutti coloro che tentavano di arrivare in Italia senza nemmeno controllare se avessero diritto di asilo, come può uno così accusare la UE di non avere fatto abbastanza?
Non solo, per rispondere alle contestazioni arriva a dire a proposito dei migranti irregolari minorenni non accompagnati respinti dal governo (contro la legge italiana e le convenzioni internazionali!) che si tratta di “un problema che mi assilla”. Ah, davvero? Poverino! non ci dorme la notte!
Con che coraggio un simile personaggio che ha sottoscritto un accordo criminale col dittatore Gheddafi per respingere i migranti che vengono torturati nelle carceri libiche pretende di ammonire l'Unione europea? Forse invece di prendersela con la UE dovrebbe richiamare certi suoi colleghi di partito che istigano al razzismo e alla violenza.
Come se non bastasse attacca anche la magistratura – perché se un politico della destra italiana non attacca la magistratura non è tranquillo – che a suo dire interpreterebbe in modo distorto la legge sul reato di clandestinità, esortando il CSM a intervenire. Ora al di là che è questa legge, invece, a interpretare in modo distorto la Costituzione, sarebbe interessante conoscere l'opinione di Maroni circa il principio costituzionale che sancisce l'autonomia della magistratura dal governo.
Un simile e inaccettabile tono di un Ministro della Repubblica nei confronti delle istituzioni, sia nazionali che sovranazionali, è l'ulteriore riprova della ventata di autoritarismo e di populismo che stiamo vivendo, dove il politicante di turno può sparare a zero contro chiunque non si adegui ai dettami governativi. Ormai si è persa l'idea che esistono dei principi, dei valori, delle norme e delle istituzioni che un governo deve rispettare. Siccome il governo è stato eletto allora può fare ciò che vuole. Questo è il modo diffuso di ragionare. E intanto cosa fa il Presidente della Repubblica, il garante della nostra Carta fondamentale?
Naturalmente questa situazione si rivolge contro le classi più deboli, di cui fanno parte appunto gli immigrati irregolari che se non hanno il permesso di soggiorno non è perché sono dei criminali ma perché non possono averlo, visto che c'è una legge che lo impedisce e secondo la quale bisogna avere un contratto lavorativo per ottenere il permesso. Ma come si fa ad ottenere un contratto di lavoro se prima il lavoro non si va a cercarlo? E dove si va a cercarlo se non nel paese in cui si vuole andare a lavorare? Questo è un dilemma cui Maroni non ha mai risposto.

giovedì 24 settembre 2009

Obama: il restauro del capitalismo

Dopo otto anni di amministrazione Bush, l'immagine degli Stati Uniti agli occhi del mondo, e dello stesso popolo americano, si era molto deteriorata. Anni di politiche espansionistiche e militariste in medioriente, nonché una gestione dell'economia in chiave apertamente liberistica, prerogativa non solo di Bush ma anche dei governi precedenti, che aveva svantaggiato le classi deboli, ha fatto sì che attorno
all'amministrazione americana crescesse un ampio fronte del dissenso. Il dissenso si opponeva alla guerra in Iraq e alle scelte economiche di un governo fortemente conservatore. Così è cresciuto negli Usa e nel mondo intero un fronte di opposizione che infine è diventato maggioranza. Barack Obama si è fatto il catalizzatore politico delle proteste anti-Bush e nello stesso tempo è riuscito ad apparire come una possibile alternativa, sapendo abilmente raccogliere le speranze degli americani e rappresentandosi come “l'uomo del cambiamento”. Sulla scia di questo consenso ha vinto le elezioni presidenziali con una schiacciante maggioranza, con un consenso popolare forse senza precedenti nella storia del paese.
Obama avrebbe dovuto, secondo i suoi sostenitori, riuscire nell'impresa di ridare slancio all'economia americana e nello stesso tempo risollevare le classi medie impoverite attraverso una riforma del welfare. Inoltre doveva ridare prestigio internazionale agli Usa, attraverso una politica estera più aperta alla collaborazione con le altre potenze mondiali ed europee. Si trattava di far apparire l'America come benefattrice verso i paesi poveri e in via di sviluppo, senza abbandonare l'egemonia mondiale. In altre parole doveva “migliorare” il capitalismo senza riforme particolarmente radicali, senza nemmeno un nuovo “New Deal”, ma mettendo d'accordo sia le lobby economiche che la classe lavoratrice e i piccoli risparmiatori americani. In politica estera invece si doveva conservare e consolidare il ruolo imperialista degli Usa, rendendolo però “accettabile” al mondo e persino aiutando i paesi in difficoltà. Una sorta di “paternalismo benevolo”, l'ennesima riproposizione di un imperialismo dal volto umano, che già aveva cercato di rilanciare Clinton.
In questi primi otto mesi il governo Obama si è trovato a dover gestire una fortissima crisi economica, causata dalla deregolamentazione dei mercati finanziari (cominciata proprio con Clinton), dal calo del reddito e dei salari congiunto all'incentivo smodato dato ai consumi.
Tuttavia Obama non ha affrontato la crisi “alla radice”, ad esempio con una sovratassazione dei redditi finanziari e con un sostegno pubblico ai salari e all'occupazione. In questa prospettiva un aumento della spesa pubblica sarebbe stato comprensibile e persino auspicabile, anche a costo di un aumento temporaneo del debito, permettendo una tenuta dell'occupazione e dei salari.
Invece si è limitato a pompare risorse pubbliche alle banche, come d'altro canto aveva già cominciato a fare Bush. La spesa pubblica è stata enorme, ma questo non ha determinato vantaggi per l'occupazione, non essendo la spesa orientata in senso sociale [1]. Obama, quindi, non ha saputo rispondere alla crisi nemmeno in chiave socialdemocratica, con aiuti allo stato sociale e con un riequilibrio dei rapporti capitale-lavoro. Il suo intervento è stato una sorta di “socialismo per ricchi” in cui l'ingente intervento dello stato, che avrebbe potuto benissimo dare luogo ad una nazionalizzazione del settore creditizio, ha avuto l'unico effetto di sostenere i profitti, allargando il divario rispetto ai salari.
Con quell'intervento sarebbe stata possibile una nazionalizzazione delle banche per assicurare tassi agevolati ai lavoratori e sostenere le imprese in difficoltà in cambio del mantenimento dei livelli occupazionali. Del resto le stesse scelte nelle nomine politiche non vanno a favore di nessun “cambiamento” avendo riproposto vecchi personaggi dell'amministrazione Clinton [2] e nominando la stessa Hillary segretario di Stato. La riprova la si è avuta con la riconferma di Bernanke alla guida della Fed, che sottintende una continuità con la gestione precedente, un chiaro messaggio alle lobby finanziarie che potevano temere una svolta “sociale” di questo governo.
Molte delle proposte fatte in campagna elettorale sono state semplicemente dimenticate, come l'aumento della tassazione sui grandi redditi, in favore di una redistribuzione del reddito e della spesa. In particolare la tanto invocata riforma sanitaria, uno dei cavalli di battaglia della nuova amministrazione, rischia di rimanere lettera morta. Essa ha suscitato un forte ostruzionismo non solo da parte repubblicana, ma anche tra le file dei democratici più moderati. Le elite economiche e le assicurazioni private erano preoccupate dal disegno di intervento pubblico in questo campo, volto a garantire ai redditi bassi un livello minimo di assistenza medica. L'opposizione del grande capitale, fuori e dentro il parlamento, rischia, se non di cassare completamente la riforma, quantomeno di svuotarla dei suoi, tra l'altro miseri, contenuti migliorativi. Tutto sembra far concludere che ci sarà una sorta di compromesso a ribasso, dove le uniche a guadagnarci saranno le assicurazioni. Lo dimostra la nuova proposta, che cancellando ogni possibile progetto di Medicare si limita a rendere obbligatoria per tutti un'assicurazione medica [3]. Una sorta di polizza auto applicata alla sanità.
Del resto Obama non hai numeri, nonostante l'ampia maggioranza legale, per intraprendere un qualsiasi intervento, nemmeno di riforma radicale, ma anche solo di “miglioramento” delle tutele sociali. L'influenza dei monopoli e delle lobby nella politica americana e nel Congresso è pressoché assoluta. La classe politica americana è assolutamente organica al capitale, a quello stesso sistema che ha permesso una crisi di proporzioni storiche e ogni tentativo seppur minimo di cambiamento viene stroncato sul nascere. Perché stupirsi quando le maggiori multinazionali creditizie e industriali finanziano la campagna elettorale dei due maggiori candidati alla presidenza, nonché di pressoché tutti i futuri deputati del Congresso? La corruzione è la prassi nel sistema politico americano, una corruzione legalizzata, formalmente corretta ma che nei fatti assicura alle elite economiche il controllo delle istituzioni politiche.
Se dalle questioni interne si passa ad analizzare il ruolo internazionale degli Usa, la situazione cambia, ma in peggio. Qui troviamo una continuità totale con la precedente amministrazione e non c'è nemmeno l'apparenza di un diverso approccio. Obama ha nominato Hillary Clinton segretario di stato. La Clinton aveva votato a favore della guerra in Iraq e a favore delle leggi antiterrorismo che limitavano le libertà costituzionali [4]. È vero che Obama ha predisposto il disimpegno delle truppe dal territorio iracheno, ma è anche vero che lo stesso Bush, constatando il sostanziale fallimento dell'azione bellica, si era avviato su questa strada verso la fine del suo mandato. Comunque Obama le truppe non le ha ritirate, ha semplicemente ordinato il passaggio di consegna alle forze armate irachene, ma i militari americani fisicamente non si sono mossi dal territorio occupato [5].
Per quanto riguarda l'Afghanistan invece ha persino rafforzato la presenza statunitense. Anche dal punto di vista ideologico non ha cambiato di una virgola la dottrina Bush: rimane lo stendardo della “guerra al terrorismo” per un
intervento di natura prettamente militare, riconosciuto apertamente dalla Casa Bianca, nonostante le reticenze del governo italiano.
Invece sulla la questione israelo-palestinese Obama si era proposto come l'unico capace, in virtù della sua immagine di “pacificatore”, di portare a una soluzione di una crisi e alla pace. Ma anche in questo caso non ha cambiato rispetto a Bush, non ha ridotto gli aiuti militari ad Israele, né ha smesso di difenderlo in sede ONU [6]. Per Obama lo stato di Israele non ha colpa, ma la causa è solo il terrorismo islamico [7]. Affermazione insostenibile visto che la questione mediorientale esiste ben prima dell' “islamizzazione” della resistenza palestinese, ed è nata proprio con la creazione di uno stato ebraico e con la cacciata di migliaia di palestinesi dal territorio, la cosiddetta nakhba.
L'interventismo americano non avviene solo alla luce del sole, ma si esplica attraverso il sostegno ai golpisti, come avvenuto nel caso di Honduras [8] e Iran, dove in quest'ultimo caso è stato perfino riconosciuto dalla Clinton la pressione esercitata dagli Usa nelle vicende iraniane [9]. Oppure è il caso del sostegno dato al Plan Colombia [10], volto al rafforzamento militare della Colombia, governata dal corrotto governo Uribe, per stroncare in quell'area con le armi ogni possibile rivendicazione sociale.
Addirittura già in campagna elettorale Obama aveva paventato un intervento militare in Pakistan [11], insomma, nulla di nuovo sotto il sole. L'ala “liberal” del partito ha da sempre spinto in favore della chiusura della base di Guantanamo dove presunti terroristi vengono tuttora interrogati attraverso la tortura. Eppure Obama nonostante la promessa di chiudere la base e di adottare metodi più “democratici” nella lotta al terrorismo non ha ancora provveduto alla chiusura di Guantanamo [12] e non ha mai messo in discussione il “patriot act”, la legge liberticida voluta da Bush che ha permesso l'internamento di cittadini di religione islamica. D'altra parte l'uso del sequestro e della tortura come metodi per interrogare presunti terroristi è stato avviato da Clinton, la cosiddetta “Extraordinary rendition” [13] che Obama ha dichiarato di voler perpetuare [14].
La sostanziale continuità della politica di Obama rispetto al passato gli ha già causato un netto calo nei consensi, è pur vero che il suo mandato è ancora all'inizio ma non si intravedono possibili sbocchi o svolte che potrebbero far pensare a una politica più “di sinistra”. Le numerose promesse della campagna elettorale sono lontane dall'essere state mantenute e pare proprio che non ci siano le condizioni per mantenerle. La parabola di Obama, che dopo pochi mesi ha già iniziato la sua discesa nei consensi del popolo americano, mostra che il sistema politico americano è bloccato, e non consente un'autentica trasformazione della società in senso progressista. Talmente bloccato che non permette nemmeno un compromesso socialdemocratico “all'europea”, che coniughi economia di mercato e stato sociale. In politica estera poi la possibilità di un abbandono dell'imperialismo che ha sempre caratterizzato qualunque amministrazione non viene nemmeno preso in considerazione, ed anzi viene persino rafforzato.
Il sistema politico americano è dominato dalle lobby dell'industria e della finanza. Per vincere le elezioni bisogna avere ingenti finanziamenti per la campagna elettorale e per avere ingenti finanziamenti bisogna ottenerli dalle lobby [15]. Le quali non danno quattrini disinteressatamente, per la “causa”, ma vogliono qualcosa in cambio. Questo qualcosa si chiama immobilismo politico, tutela dei loro privilegi o quantomeno assicurazione che il candidato se eletto non li intaccherà. Chiunque voglia riformare seriamente ed effettivamente la società americana, non troverà mai spazio nel sistema di intrallazzi e di corruzione delle istituzioni politiche americane, anche se venisse eletto. Lo dimostra ad esempio il caso del candidato socialista alla presidenza, Brian Moore, che proponeva la nazionalizzazione delle banche, o quello della candidata ecologista alle primarie, Cynthia McKinney che voleva il ritiro delle truppe dall'Afghanistan [16].
Nell'attuale situazione qualsiasi miglioramento sociale anche minimo, nemmeno riformismo, anche solo “migliorismo” è precluso negli Usa. L'alternativa è una sola: che i proletari americani prendano coscienza della propria condizione, abbandonino la via elettorale e lottino per il rovesciamento dell'ordine capitalistico e per instaurare il socialismo.


Fonti:

[1] http://www.marxist.com/obama-crisi-economica.htm

[2] http://www.altrenotizie.org/esteri/2199-tra-lobbisti-e-clintoniani,-nasce-il-gabinetto-di-obama.html

[3] http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/ricerca-nel-manifesto/vedi/nocache/1/numero/20090918/pagina/08/pezzo/260186/?tx_manigiornale_pi1[showStringa]=Obama%2Bsanit%25C3%25A0&cHash=369e89ca69

[4] http://www.radiokcentrale.it/articolinuovaera/itapiece228.htm

[5] http://youtubeinformation.blogspot.com/2009/04/obama-e-il-falso-ritiro-dalliraq.html

[6] http://www.ibrp.org/it/articles/2009-09-01/obama-e-la-nuova-politica-in-medio-oriente

[7] http://electronicintifada.net/v2/article9427.shtml

[8] http://www.tlaxcala.es/pp.asp?reference=7966&lg=it

[9] http://www.voltairenet.org/article161644.html

[10] http://napoli.indymedia.org/node/8211

[11] http://it.internationalism.org/node/766

[12] http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=353206

[13] http://it.wikipedia.org/wiki/Extraordinary_rendition

[14]http://www.fuoriluogo.it/home/mappamondo/nord_america/usa/da_obama_via_libera_ai_rapimenti_cia

[15] http://www.swissinfo.ch/ita/archive.html?siteSect=883&sid=9615654&ty=st
e:
http://www.corriere.it/esteri/09_agosto_25/frode_fermato_finanziatore_campagna_obama_8aff5b44-91a0-11de-b01b-00144f02aabc.shtml

[16] http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=300676

lunedì 21 settembre 2009

Quando è aggredito l'aggressore


Ci sono persone ossessionate da qualcosa. Daniela Santanché è ossessionata dal velo islamico. A lei proprio non va giù. C'è chi non sopporta i cani, chi è intollerante al latte. Lei è intollerante al velo.
È più forte di lei. Così ieri, nell'anniversario della breccia di porta Pia e dell'annessione di Roma, ha deciso di passare all'azione. Un gruppo di mussulmani milanesi, uomini e donne, tentava (quale crimine immondo!) di entrare in moschea. Ma lei ha deciso che la cosa non s'ha da fare. Così si è piazzata, assieme al suo codazzo di fascistelli, davanti alla moschea e ha deciso di aggredire le donne che portavano il velo per strapparglielo.
Questa al mio paese si chiama aggressione. La paladina delle libertà femminili (solo però col velo degli altri) ha avuto per tutta risposta uno sganassone in pieno volto da qualcuno che ha giustamente perso la pazienza per la sua prepotenza, il che ha causato la caduta della politicante. Apriti cielo! Si scatena un putiferio attorno agli islamici che avrebbero “aggredito” la “povera” deputata. Giornali che titolano “Santanché aggredita” o persino “picchiata”, facendola passare quasi per una martire della libertà, attaccata da terribili terroristi.
Tutti i giornali, a cominciare dal “Corriere della Sera” e “Repubblica”, quelli che parlano di libertà di espressione (il primo un po' di meno) e se la prendono contro la censura, hanno creduto ciecamente alla versione della Santanché. Sarebbe stata aggredita, mentre cercava di manifestare pacificamente. Giudicate voi se manifestare pacificamente significa proiettarsi su delle poverette di un'altra religione per cercare di strappare loro il velo. Se degli atei andassero davanti ad un convento e si gettassero sulle suore per togliere loro l'abito che portano, voi cosa pensereste? Che si tratta di una violenza, credo.
Posso capire fare una battaglia culturale perché le donne tolgano il velo (ma che dire allora delle nostre donne “disinibite” che si arrampicano sui tacchi a spillo o che devono fare pompini per fare carriera? Non mi sembra una grande libertà) questo fa parte del diritto di ogni cittadino a manifestare la propria idea. Ma pensare di imporlo per le legge, e arrivare al punto da piazzarsi di fronte ad una moschea per strappare il velo a delle povere donne la cui unica colpa è una certa interpretazione del Corano, è davvero una prevaricazione! Che non si lamenti poi se si becca la giusta reazione.
Invece la nostra è davvero esperta in questa tattica di aggredire per poi fare la vittima. Basti ricordare che è la stessa che aveva “la bava alla bocca” e che diceva che i clandestini vuole “cacciarli a calci in culo”. Una che andava con i fascisti di Fiamma Tricolore e che tutt'ora condivide le manifestazioni di Casa Pound, il centro sociale di estrema destra razzista e violento, una che ha deciso persino di farsi accompagnare dalla scorta, quasi fosse una vittima di mafia, immaginandosi di essere seguita da chissà quali schiere di terroristi (ma chi se la fila?).
Evitiamo di far passare quindi una così, una che, come si suol dire, “va a cercare rogne” per una paladina della libertà. E magari prima di prendere per oro colato tutto ciò che dice sentiamo prima la versione dei suoi presunti “carnefici”.


Link:
http://www.giornalettismo.com/archives/37358/santanche-burqa-aggredita/

domenica 20 settembre 2009

Crocerossine armate


Acclamati dalle folle, omaggiati con onorificenze, beatificati nelle televisioni, martirizzati nei parlamenti, compianti con funerali di stato e commemorati persino durante eventi sportivi. Non stiamo parlando di attori holliwooddiani, ma dei soldati dell'esercito italiano.
Che cosa hanno fatto codesti eroi per essere tanto elogiati? Semplice, hanno ammazzato dei civili innocenti.
Possibile? Certo. Se i civili innocenti sono le vittime di una guerra spacciata per “missione di pace” e se a questa “missione di pace” partecipa anche il nostro bel paese per spartirsi la torta dei rifornimenti energetici assieme agli altri.
Le menzogne di chi governa non mi stupiscono. Mentire è il mestiere degli affaristi e degli speculatori. Mi stupisce che a queste menzogne c'è gente che continua a crederci. Mi stupisco che ancora oggi si possa credere alla favola secondo cui in Afghanistan ci andremmo “ad esportare la democrazia”. A portare “pace e libertà”, a “combattere il terrorismo” e altre amenità di questo tipo. Che diamine! Lo sanno pure le pietre che le guerre da che mondo e mondo si fanno per interessi economici! E dovrebbe essere arcinoto il fatto che gli organizzatori della crociata contro l'islam (che poi si allargò a tutti “gli stati canaglia”) mentirono palesemente sulla presenza delle armi di distruzione di massa come è evidente che l'unica cosa che interessa loro, in Iraq come in Afghanistan, sono le attività estrattive e di trasporto energetico.
Sentiamo ripeterci in continuazione la solita solfa dei Talebani di qua e talebani di là. Già, ma chi ce li ha messi i talebani? Perché non sempre i talebani sono stati dalla parte dei cattivi. Prima stavano con i cow-boys di wall-street, quelli che volevano controllare tutto il Medioriente per farci passare un oleodotto megagalattico. Allora il comitato d'affari dell'industria energetica americana, mi pare che si chiami “Casa Bianca”, con i talebani ci andava d'amore e d'accordo e ci faceva affari che era una meraviglia. Ma tutti gli amori a un tratto finiscono, come anche le convenienze economiche. Ed è così che iniziano le guerre.
I talebani erano anche più amati quando l'Afghanistan subì un'altra invasione, quella dell'Unione Sovietica, e così gli americani li armarono perché cacciassero quegli sporchi comunisti.
Dopo continuarono a farlo e la CIA si prese persino l'incombenza di addestrarli personalmente. Tutti i più grandi terroristi ricercati vengono da lì. Insomma si può dire che lo Zio Sam abbia fatto proprio un buon lavoro, non solo ha fabbricato prove false, ma ha creato anche i propri nemici!
Ma cosa c'entra tutto questo con i nostri soldati morti? C'entra per il fatto che queste trame di potere si realizzano grazie alla partecipazione di fedeli esecutori dediti alla “causa”. Un mandante ha bisogno di un sicario che faccia il lavoro sporco, ricompensato profumatamente. Così mandano i nostri bravi soldati a fare quello che loro e i loro figli non farebbero mai, sporcarsi le mani di sangue, loro o altrui. Ci sono altri che rendono loro questo servizio e sono appunto i militari in “missione di pace” omaggiati a destra e a manca.
La retorica patriottarda del “servire la nazione” o “difendere la democrazia” è ovviamente tutta una farsa, la realtà è molto più prosaica ed è che lo fanno per i dindini. Per mangiare ci vogliono i dindini. Devono pur mangiare! C'è chi preferisce sbarcare il lunario andando a lavorare in fabbrica per 800 euro al mese, rischiando di morire ammazzato e c'è chi rischia di morire ammazzato per sei-sette volte tanto, ma con in più altri due vantaggi: uno, diventa un eroe e riceve un funerale di stato quando muore; due, non viene soltanto ammazzato, ma ha la possibilità lui stesso di ammazzare! Vuoi mettere? Questione di scelte. C'è chi si fa solo ammazzare e chi ne ammazza anche qualcuno prima di morire. Peccato che in tutto questo gli unici a rimetterci siano i civili di un paese disgraziato, con un governo fantoccio, sballottati dai talebani e dalle truppe di occupazione NATO (ribadisco, truppe di occupazione). Quando muoiono loro nessuno li chiama eroi, nessuno rende loro omaggio, nessuno li piange, nessuno chiama i loro assassini “terroristi”.
Si sta adesso diffondendo la favola del “vile attentato” diffusa dal camerata La Russa. Cosa ha ucciso i “nostri” (ma nostri di chi?) soldati? Un “vile attentato”. Detto poi da un fascista fa una certa impressione. Uno che di attentati se ne intende, tipo quelli fatti da altre truppe di occupazione, quelle naziste, oppure quelli fatti dai terroristi neri. O magari quelli dell'allora capo del'MSI, ex partito del Ministro La Russa, il beneamato Almirante, sterminatore di partigiani e di renitenti alla leva, nonché divulgatore di tesi razziste.
Sentire da uno degli epigoni di un simile personaggio parlare di eroi, dopo avere offeso la giornata nazionale (quella degli eroi veri) dell'8 settembre, sentirlo parlare di vile attentato, dopo aver militato in un partito che gli attentatori li ha sempre fiancheggiati e supportati, fa davvero una certa impressione. Certo, è impressionante anche dover ascoltare la bizzarra teoria secondo cui un popolo attaccato da un nemico esterno, che vede invaso il proprio territorio deve starsene zitto e buono a lasciarsi “liberare”. Se questo popolo prova ad agire diventa “terrorista” ed ogni azione di legittima resistenza diventa “vile attentato”.
Ma fa ancora più impressione il fatto che un Presidente della Repubblica ovvero il garante della Costituzione dica che questa “missione di pace” debba essere difesa con le unghie e con i denti, scavalcando il parlamento e facendo pressione su di esso perché non venga a qualche deputato la peregrina idea di non votare il rifinanziamento delle truppe e togliere all'ENI quelle quattro briciole che le hanno lasciato le altre concorrenti. Lo sanno anche i sassi che la Costituzione dice che “L'Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie”. Ora un garante che si rispetti dovrebbe per prima cosa rispettare la costituzione e farla rispettare. Invece è il primo che la scavalca e che sprona il parlamento e il governo a fare altrettanto.
In questa escalation di assurdità cosa dire della incomprensibilmente supina decisione della Federazione Nazionale della Stampa che ha deciso di annullare la manifestazione contro la censura e per la libertà di espressione? E per quale ragione? Ma certo, per onorare i caduti! Ma come può pronunciarsi contro la censura e il “bavaglio” all'informazione chi quel bavaglio se lo mette lui stesso? Come può manifestare a favore del pluralismo chi il pluralismo è il primo a umiliarlo? Che non lo sanno i giornalisti della FNS quali eroiche imprese possono vantare i nostri soldati? Che non lo sanno quante vittime civili sono morte fino ad ora a causa di questa “missione di pace”? Forse credono anche loro alla frottola della “missione umanitaria”? Anche loro credono che i soldati italiani siano delle crocerossine che vanno lì a medicar le ferite? E che ce li hanno a fare allora carrarmati, missili e mitragliatrici? Per fare i botti di capodanno? Se preferiscono piangere ipocrite lacrime per i sicari degli “interessi nazionali” facciano pure, ma allora si tengano il bavaglio, si tengano la censura e se la facciano da soli la manifestazione. Peggio per loro. Se questo è il livello della massima organizzazione rappresentante dei giornalisti mi pare davvero inutile difenderla.

venerdì 18 settembre 2009

Molise radioattivo


Fa parte del nuovo piano sull'energia del governo. Nonostante un referendum popolare avesse già decretato la chiusura di tutti gli impianti nucleari in Italia, questo governo, come al solito, non intende rispettare il volere popolare e ha deciso così di ricominciare a produrre nuove scorie radioattive. L'energia nucleare può essere prodotta a costi altissimi, il che rende praticamente indispensabile l'intervento pubblico, e quindi l'aumento della spesa per il contribuente, visto che i costi per la produzione sono ammortizzati solo nell'arco di vent'anni.
Ora immaginiamo. Vent'anni (e saranno molti di più dati i tempi italiani) per costruire. Vent'anni per ammortizzare le spese. Quarant'anni. In questi quarant'anni saremo noi a pagare, con le nostre tasse. Senza contare che tra quarant'anni le riserve di uranio saranno praticamente esaurite il che farà schizzare in alto il costo della materia prima. Oltre al fatto che a quel punto l'attuale tecnologia impiegata (che già ora non è che si possa dire all'avanguardia) sarà del tutto obsoleta e superata. Il mondo sta tentando di mandare in pensione il nucleare. Se si escludono Finlandia e Francia nessun altro paese ha previsto la realizzazione di nuovi impianti. La Germania vuole chiudere gradualmente le centrali esistenti. Gli Stati Uniti ridurre la quota di energia ricavata dalla fissione dell'atomo di uranio.
Il nostro paese è l'unico che ha previsto così tante centrali da realizzare. Sicuramente un business per l'industria energetica italiana, ma un business finanziato dalle casse dello stato. Facile, fare profitti con le nostre tasse.
Va bene, si dirà, ma il nucleare almeno non inquina. Se non inquinare significa produrre tonnellate di scorie che non si sa come smaltire e che puntualmente vengono stanziate in siti insicuri. Il caso della Germania dove si sono dovute spostare delle scorie a causa di un'infiltrazione salina dovrebbe far riflettere. Ubicazioni senza rischi non esistono, considerando anche i millenari tempi di radioattività dell'uranio (che noi lasciamo come regalo ai posteri).
Il nucleare nuoce gravemente alla salute. Lo dimostra una ricerca finanziata dal governo tedesco che ha rilevato come nelle aree vicine alle centrali ci fosse un maggior numero di probabilità di contrarre il cancro. Se questa è l'energia pulita allora tanto varrebbe tornare al carbone e alla Londra anni '50.
Ma questo è il governo delle lobby, il comitato d'affari della grande e piccola industria. Così si è decisa l'ubicazione di dieci siti che dovrebbero “ospitare” le centrali nucleari. Di fronte a una simile scelta ci si aspetterebbero incontri con gli amministratori locali per trovare un compromesso, con i comitati locali e le associazioni ambientaliste. Invece niente di tutto questo è stato fatto. Il governo ha imposto questa decisione dall'alto alle popolazioni, senza consultarle, senza neanche preoccuparsi di sapere cosa pensassero. Questa io la chiamo dittatura. Sarà anche vero che la maggioranza degli italiani sarebbe favorevole al ritorno al nucleare, però è anche vero che nei siti dove si vorrebbe installarlo la gente è contraria quasi all'unanimità! La chiamano “sindrome di NYMBY” (non nel mio giardino). Io la chiamo invece sindrome del “chissenefrega basta che lo fanno lontano da me”, che è ben diverso.
Tra le aree in cui dovrebbe sorgere una centrale nucleare c'è anche il Molise, precisamente a Termoli (che vedete in fotografia), la città del sottoscritto (la qual cosa mi fa anche più incazzare se permettete). Una città che affaccia sul mare, a vocazione turistica. In questo gioiello del mediterraneo (e non lo dico per campanilismo) dopo aver realizzato la chimica e la turbogas vogliono metterci una centrale nucleare. E non è finita. Perché il governo del (af)fare vorrebbe metterci anche delle pale eoliche “off shore”. Molto trendy, vero? Se non fosse che questo significa che le pale saranno in bella vista in mezzo al mare, a offrirsi allo sguardo di turisti e bagnanti che in spiaggia potranno ammirare queste splendide creazioni dell'ingegno umano. Io non ho nulla contro l'eolico, ma almeno si potrebbe evitare di metterle in mezzo al mare a deturpare il paesaggio costiero. Tanto più che in Molise esistono già. Allora perché concentrare tutto in una stessa area? L'Italia è un paese con una grande varietà paesaggistica e geografica, certo non si farebbe fatica a trovare un sito migliore.
Sia l'eolico che il nucleare, ovviamente, sono stati imposti al territorio, senza nessuna consultazione, con la maggioranza dei cittadini contraria, l'amministrazione e il consiglio comunali (maggioranza e opposizione) contrari, Regione Molise contraria (anche se ufficialmente non si è espressa ma ci sono state dichiarazioni del presidente Iorio) contraria persino la vicina regione Abruzzo.
E questo dovrebbe essere il federalismo tanto osannato dall'attuale governo? Dov'è finita la tanto sbandierata autonomia del territorio? Forse vale solo per le regioni del nord? Oppure solo quando si tratta di scuola e sanità (proprio quelle che invece dovrebbero essere controllate dallo stato centrale)?
Certo, sorprende il fatto che con cotanti dirigenti politici non si riesca a impedire una simile e sciagurata scelta. Di Pietro si è detto anche lui contrario, pur se non risulta molto attendibile, visto che da Ministro impose il MOSE a Venezia, in nome delle “grandi opere” con la contrarietà anche allora dell'intera città e giunta comunale. Naturalmente quando poi si tratta di farle queste grandi opere vicino alla sua Montenero di Bisaccia le prospettive cambiano. Sarebbe troppo grande il rischio di alienarsi i consensi dei suoi conterranei!
Tutti, adesso che siamo con l'acqua alla gola, gridano allo scandalo. Eppure non fecero niente in passato, quando già si parlava di includere Termoli e il Molise tra i siti “privilegiati”. La Giunta regionale tacque e tace tuttora non essendosi ancora espressa ufficialmente, come denunciato dal consigliere Pietraroia. Forse che Iorio adotti a Roma un diverso tipo di atteggiamento da quello che mostra ai giornali qui in Molise? Del resto c'è da dire che esiste chi si è comportato assai peggio di lui, come l'eurodeputato Aldo Patriciello. Egli infatti scrisse una lettera al Ministro Scajola in cui si diceva d'accordo con l'apertura della centrale nucleare. Con tanto di deferenza e apprezzamento per le politiche del governo. Davvero paradossale se si pensa che Patriciello è un deputato dell'UDC, quindi dell'opposizione! Ma è ancora più grottesco il fatto che Patriciello si dica contrario poi alle pale eoliche! Qui siamo al colmo dell'assurdo: come si fa a essere favorevoli al nucleare, che produce scorie, e contrari all'eolico, che non le produce? Posso capire il contrario. Come dire, meglio il nucleare che l'eolico. L'ideale sarebbe meglio nessuno dei due, ma se proprio si dovesse scegliere, se ci fosse un governo un tantino più disposto al dialogo con la popolazione, sarebbe da preferire l'energia rinnovabile, che ha un impatto decisamente minore sull'ambiente e sulla salute delle persone, rispetto al nucleare. Tanto più che di scorie già ne abbiamo avute in Molise, precisamente a Castelmauro. In un casolare abbandonato e diroccato. Questo significa smaltire le scorie in Italia: piazzarle nel primo posto che capita.
Ma questa è la storia non solo del Molise, ma dell'Italia intera, dove la coerenza è un optional, dove oggi si dice una cosa, domani un'altra, dove si fanno tante belle dichiarazioni, ma poi si pensa solo a tirare l'acqua al proprio mulino.
Vorrei dire una cosa a Patriciello, a Scajola e al governo:




Fonti:

http://www.mynews.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3046:petraroia-attacca-centro-destra-di-termoli-qperche-montano-e-tutti-i-consiglieri-tacciono-sul-rischio-nucleareq&catid=41:politica-termoli&Itemid=53

http://www.caffemolise.it/index.php/2009/03/03/centrale-nucleare-a-termoli-la-maggioranza-evita-il-dibattito/

http://www.primapaginamolise.it/detail.php?news_ID=21397

http://www.altromolise.it/notizia.php?argomento=giornata-politica&articolo=39299

http://catetom.splinder.com/post/19020073

martedì 15 settembre 2009

Che mondo meraviglioso!

Eh sì! Viviamo proprio in un mondo meraviglioso! Ce lo dicono sempre i telegiornali! Ho voluto collezionare delle perle che ci offre la nostra bella società governata da un potere illuminato.

Buona visione


sabato 12 settembre 2009

11 Settembre 1973


È passato un secolo ormai da quando nacque Salvador Allende. Eppure pochi se ne sono ricordati, soprattutto tra i grandi media. Forse perché si tratta di un personaggio scomodo per l'occidente “democratico”.
Un presidente socialista eletto democraticamente dal popolo e vittima della “più grande democrazia”, come alcuni la definiscono.
Perché nel caso di Allende non si poteva usare il pretesto del contrasto alla dittatura. Lo si è provato a fare, con scarsi risultati, in un primo tempo. Ma fu un boomerang per l'estabilishment statunitense, poiché fu proprio il governo della grande democrazia a rovesciare un governo perfettamente democratico per sostituirlo con una delle più feroci dittature militari.
Cominciamo da quando, il 5 settembre 1970, Salvador Allende, fondatore del Partito socialista e candidato della coalizione Unità popolare, venne eletto presidente del Cile.
Per i conservatori, per le lobby, per l'alta finanza, per i monopoli privati, e perciò anche per gli Stati Uniti d'America, fu un duro colpo. Allende era socialista non solo di nome, aveva un programma che prevedeva riforme radicali, nazionalizzazioni e contrasto dei potentati economici.
Gli Stati Uniti lo sapevano bene e fin dall'inizio tentarono di intralciarne l'elezione finanziando i partiti avversari e compiacenti nei confronti degli Usa. L'amministrazione Nixon non fece mai mistero della sua avversione profonda, forse persino più grande di quella contro Cuba, che aveva per il governo Allende. Tentò addirittura di beffare il popolo cileno, che aveva espresso chiaramente la sua volontà, inducendo il Congresso a nominare presidente l'avversario Alessandri, il quale avrebbe dovuto dimettersi e indire nuove elezioni, in cui si sarebbe ripresentato da favorito il presidente uscente Eduardo Frei; che altrimenti non avrebbe potuto ricandidarsi perché la Costituzione vietava più di due mandati consecutivi.
Ma Frei non fu carogna a tal punto da avallare il piano orchestrato dalla CIA. Così Allende divenne il suo successore.
Una volta insediatosi i timori di Nixon e della sua combriccola di affaristi si rivelarono più che fondati. Il nuovo governo cileno diede avvio alla nazionalizzazione delle banche, alla riforma agraria e alla ridistribuzione delle terre ai contadini, alla nazionalizzazione delle risorse naturali, in particolare del rame, fino a quel momento controllato da grandi industrie statunitensi come Anaconda e Kennecott. Non ci vuole molto a capire che queste mosse diedero molto fastidio alla Casa Bianca.
Iniziò una campagna di boicottaggio contro il governo cileno. Venne l'embargo, l'inflazione e il clima nel Paese non fu certo disteso, come dimostrò lo sciopero paralizzante dei camionisti (dietro al quale si sospetta lo zampino della CIA). Il Cile era nel caos. La situazione ideale per preparare il terreno ad un golpe, molto voluto dagli ambienti conservatori. Del resto durante il mandato incompiuto di Allende più volte diversi membri del congresso avevano chiesto l'intervento delle forze armate contro la minaccia di una dittatura comunista. La dittatura arrivò. Ma non fu comunista. L'11 settembre 1973 avvene quanto già era nell'aria. Il governo fu rovesciato dal colpo di stato del generale Augusto Pinochet e Allende morì durante l'assedio dei militari al palazzo presidenziale. É legittimo pensare che egli si fosse suicidato. Gesto tutt'altro che disprezzabile, se si pensa che il presidente avrebbe potuto fuggire e invece accettò di non abbandonare il suo popolo anche a costo della vita. A quel punto la morte era l'unica alternativa alla cattura da parte di aguzzini senza scrupoli. Ce chi crede che egli abbia resistito fino alla fine combattendo da guerrigliero.
La dittatura durò 17 anni, e costò la vita a un numero di persone che secondo diverse stime vanno dalle 3000 alle 10000. Più almeno 30000 che furono torturate. Nonché la privatizzazione selvaggia di tutti i servizi e l'esproprio dei contadini.
Solo nel 1990 ci fu il ritorno alla democrazia. Pinochet fu posto agli arresti domiciliari a Londra nel 1998. Morì nel 2006, riuscendo ad evitare un processo sui crimini commessi e senza scontare un solo giorno di prigione. Il mondo era stato troppo impegnato a discutere se gli spettasse o meno l'immunità.
Un'inchiesta del New York Times confermò il finanziamento da parte della Casa Bianca di attività illegali volte a danneggiare il governo Allende.
Del resto lo stesso Kissinger, consigliere di Nixon ammise apertamente l'intervento degli USA nella politica cilena. “Non capisco perché dovremmo starcene immobili e guardare una nazione diventare comunista a causa dell'irresponsabilità del proprio popolo” le sue parole.
Il coinvolgimento degli Stati Uniti nelle attività illecite volte a contrastare prima l'elezione e poi l'attuazione del programma del presidente socialista è un fatto ormai acclarato.
L'interesse economico degli Stati Uniti e delle multinazionali andava nella direzione opposta alle riforme intraprese da Allende. E anche questo è un fatto acclarato.
Il governo popolare appena eletto stava attuando una transizione verso il socialismo incruenta e democratica ed anzi proprio la democrazia era la sua forza. Lo conferma il fatto che gli oppositori usarono metodi tutt'altro che democratici.
È lecito pensare che oltre ad un movente prettamente economico, dietro al golpe militare, ce ne fosse un altro diciamo ideologico che preoccupava la “democrazia” statunitense.
Probabilmente Nixon e i suoi si posero questa domanda, che potevano fare a meno di porsi ad esempio con Cuba, e cioè “Non è che se Allende rimane al potere e attua le riforme e realizza il socialismo superando il regime capitalistico, la gente, non soltanto del Cile, non soltanto dell'America latina, ma anche dell'Europa occidentale dove è forte la presenza di organizzazioni comuniste e socialiste e forse persino da noi dove non ce ne sono, potrebbe accorgersi che il socialismo non solo non è incompatibile con la democrazia, ma anzi la rafforza e la potenzia, non è che se Allende andasse fino in fondo rischiamo di venire travolti tutti quanti noi adesso al potere?”
È lecito pensare anche che sia questo uno dei motivi per cui Allende oggi è ancora tanto scomodo per l'Occidente, soprattutto in considerazione dell'avanzata del liberismo e del conservatorismo che si è avuta negli ultimi anni. E del risveglio di alcuni stati sudamericani, Venezuela, Bolivia, Ecuador, Paraguay, che stanno adottando riforme che spesso ricordano molto quelle di Allende, in primis per quanto riguarda la riappropriazione da parte di quei popoli delle loro risorse naturali.
È vero anche però che sarebbe altrettanto fastidioso per molti ricordare le complicità di alcuni con il regime di Pinochet. E spicca in questo quadro clamorosa (o forse prevedibile) la presenza del Vaticano. Le foto che Giovanni Paolo II si fece scattare in compagnia di uno dei dittatori più sanguinari del Novecento non ce le siamo scordate. I rapporti che il Vaticano (soprattutto nella persona di Angelo Sodano, che fu segretario di Stato Vaticano e per un certo tempo nunzio apostolico in Cile dal '77) ebbe con la giunta militare non si possono nascondere del tutto, malgrado le agiografie dei tg e dei giornali nostrani. Giovanni Paolo II “santo subito” definì quella di Pinochet una “dittatura di transizione” come se si trattasse di qualcosa di temporaneo ma necessario per combattere lo spettro del comunismo. Sempre lo stesso Papa si oppose all'estradizione di Pinochet, una volta terminato il suo regime, insistendo che fosse processato in Cile, dove esisteva ancora una quantità di magistrati che avrebbero chiuso volentieri un occhio sui suoi soprusi. Giovanni Paolo II si espresse a favore del perdono nei confronti di Pinochet, forse ricordando quando lo aveva benedetto in pubblico. D'altra parte il feroce anticomunismo di Wojtyla non dovrebbe essere un mistero.
Salvador Allende rappresentò un sogno, una speranza, per chi fino ad allora non aveva mai potuto sperare, per chi veniva sfruttato in miniera, nei campi, nelle fabbriche. E non solo in Cile. Fu una speranza che stava per realizzarsi. Fu l'espressione di un popolo, di una schiera di sfruttati che lottò con coraggio per la libertà. E che affrontò persino la morte pur di resistere accanto al suo popolo. Io non sono religioso. Ma se possono avere un senso le parole “santo” e “martire”, non riesco a trovarne un altro.
Questo sogno venne stroncato da coloro che si definiscono “amici della democrazia”. Con la complicità della “Chiesa dei poveri”. Ognuno ne tragga le proprie conclusioni.
Ieri sono stati compiuti 36 anni dal golpe cileno, dalla tragedia di un popolo e direi del mondo intero.
Gli Stati Uniti non hanno ancora chiesto scusa ufficialmente per la loro complicità nei fatti del Cile.

Links:
http://it.wikipedia.org/wiki/Salvador_Allende

http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/allende.htm

http://alessiaguidi.provocation.net/vaticano/pinochet.htm

http://www.salvador-allende.cl/

venerdì 11 settembre 2009

Mafia di governo


È praticamente la prima volta che un presidente del consiglio dichiari pubblicamente di avversare un procedimento contro la mafia. Ovviamente non è la prima volta che un capo di governo abbia rapporti con le cosche. Ma non era mai avvenuto che facesse una dichiarazione come quella che Silvio Berlusconi ha rilasciato alla stampa. “So che ci sono fermenti in Procura, a Palermo, a Milano, si ricominciano a guardare i fatti del ’93, del’94 e del ’92. Follia pura.”, “Quello che mi fa male è che della gente così, con i soldi di tutti, faccia cose cospirando contro di noi” (Agoravox). Parole gravissime, passate tra il silenzio generale di maggioranza e opposizione con soltanto una protesta scarsamente pubblicizzata dell'Associazione Nazionale Magistrati, perché è pericolosissimo che chi governa getti discredito su un'indagine, ancor più se questa indagine riguarda la mafia. Certamente Berlusconi ha modo di preoccuparsi circa la propria posizione in merito, avendo, egli e il suo partito, da lungo tempo l'appoggio e i voti della mafia, nonché il sostegno economico della stessa. E del resto così si spiega la ragione per cui il “miglior presidente di sempre” abbia ospitato a lungo nella sua villa il boss Vittorio Mangano presentatogli da Dell'Utri, il quale, quest'utlimo, fu protetto da Berlusconi quando finì sotto processo.
La mafia ha da sempre, e continua tuttora, ad esercitare una pressione sul grande “statista” di Arcore, ora con accordi di scambio, ora con richieste, ora con minacce, come quando Mangano fece esplodere una bomba in casa sua.
Così ha ritenuto opportuno di cominciare un'altra campagna di delegittimazione della magistratura, in merito alle indagini riaperte (l'Unità) e nulla dimostrano le dichiarazioni del Ministro della Giustizia Alfano che invece ha detto legittimo il lavoro dei magistrati. Ci mancherebbe. Non ci voleva certo lui per dirlo. La cosa incredibile è che i processi debbano ricevere l'approvazione di Lor Signori del governo, nonostante in uno stato di diritto la magistratura debba essere indipendente dal potere esecutivo. È assurdo che chi governi si arroghi il diritto di giudicare valide o non valide le inchieste della Magistratura. Ma ormai nel nostro paese questa è diventata prassi comune. Comunque sia, i rapporti tra il partito di maggioranza e il suo capo con la mafia sono ampiamente provati dalle dichiarazioni dei pentiti e dai processi svoltisi e dalle inchieste giornalistiche. Questo già da sé basta a smentire chi sostiene che questo governo sia all'avanguardia nella lotta contro la mafia. È più plausibile invece, dati i presupposti, che gli arresti, senza dubbio importanti, di questi ultimi periodi, vadano ricondotti ad una lotta interna a Cosa nostra, che vuole eliminare gli elementi scomodi, coloro che vorrebbero conquistare una posizione di potere a danno della gestione attuale. E questo lo dimostra la gestione del potere a livello locale dove è prassi comune che le imprese facciano affari con la mafia e la camorra, in particolare a livello locale e basta leggere il libro “Gomorra” per capirlo e capire la copertura a livello politico del fenomeno.
Ciò nonostante vediamo un Paese che sembra disinteressarsi alla faccenda. Che continua a credere come un bambino che a costoro al massimo si possa imputare qualche scappatella coniugale, qualche peccato veniale, ma nulla di più. Data la totale mancanza di senso della legalità che esiste in Italia, reati come l'evasione fiscale, lo sfruttamento della prostituzione, o il falso ideologico, di cui chi ricopre le più importanti cariche delle istituzioni si è macchiato, paiono delle semplici marachelle da ragazzini. Non è vero forse che in Italia le tasse sono troppo alte? E allora è giusto evaderle (come disse qualche tempo fa il “grande statista”). Chi si vende lo fa di sua spontanea volontà e allora cosa si può imputare a coloro che sono coinvolti in un simile traffico? Sostenere pubblicamente il falso è un atto comune, chi non ha detto mai una bugia in vita sua? E allora tutto diventa giustificabile, anche i rapporti con la mafia e può capitare che un Ministro dica che con la mafia bisogna convivere, senza che questo provochi le sue dimissioni e costi la sconfitta politica al suo partito. Così a nessuno più importa se Berlusconi sia o meno in rapporti con grandi organizzazioni criminali. Si cerca di sviare il discorso, dicendo che le accuse servono come attacco politico contro Berlusconi. Ma ammesso, e non concesso, che ciò sia vero, questo non basta a falsificare le accuse. Pur ipotizzando che i magistrati siano tutti dei bolscevichi ciò non dimostra affatto la falsità delle loro accuse. Si tenta di negare un'accusa, rivolgendo contro chi la formula un'altra accusa. Il meccanismo è tipicamente mafioso: la delegittimazione di chi la pensa diversamente e che può intralciare i propri affari. Come dire, anche se io sono coinvolto, loro non sono più puliti di me, quindi è inutile che vi facciate tanti scrupoli. “Sono tutti uguali”. Il qualunquismo, come sempre, è l'arma migliore di coloro che i qualunquisti accusano: il “governo ladro”. E allora il qualunquismo si rivolge nel suo opposto e cioè il giustificazionismo. Se tutti sono sporchi, tutti sono puliti, perché non si può fare a meno di essere sporchi, in questo mondo. E quindi non si ha più nessuno scrupolo a dare il proprio voto ai candidati della mafia. Non fa più nessuno scalpore che un capo di governo si opponga alle indagini contro la mafia. È soltanto una lotta di potere, null'altro. Eppure, per fortuna, esistono persone capaci di demolire questo fallace argomento, con la loro stessa esistenza. Uomini come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Peppino Impastato che dimostrarono la possibilità di poter rifiutare ogni compromesso, di opporre un rifiuto radicale a un sistema marcio fin nel midollo e che continua a produrre idee altrettanto marce, come quella che sarebbero “tutti uguali” e che lo stato di cose attuali rimarrà sempre lo stesso, in omnia secula seculorum. Ma l'eternità, come dovrebbe insegnarci la storia, non esiste, gli imperi crollano, le dinastie cadono in rovina, sistemi sociali che si credevano consolidati vengono spazzati via come ramoscelli al vento. E anche i re vengono decapitati.

A tutte le anime belle che non ancora credono alle connivenze mafiose di Berlusconi basti vedere questi due interessantissimi video:

martedì 8 settembre 2009

Le radici del razzista


BRUXELLES - Come si direbbe in Italia: «Chi la fa l’aspetti». O meglio: «Il bue non chiami cornuto l’asino». Come si direbbe in Italia, si dice oggi in Olanda: dove il bue del proverbio, con rispetto parlando, sarebbe Geert Wilders; e l’asino, gli immigrati turchi o nordafricani. Perché Wilders, il deputato dal ciuffo giallissimo e dal l’occhio ceruleo finito sotto processo per incitamento alla discriminazione e al l’odio religioso, l’uomo che vince le elezioni gridando «No all’Eurarabia» o «l’Olanda agli olandesi», e invocando la cacciata di tutti gli im migrati musulmani «che non rispettano la nostra cultura», lo stesso che per le sue idee viene espulso dalla Gran Bretagna e che i nemici bef fardi chiamano «il più bianco dei bianchi», insomma proprio lui sarebbe in qualche modo «nero»: figlio e nipote di immigrati dall’Asia, pronipote di meticci dalla pelle scura, discen dente di musulmani.
In altre parole un «indo», come nella lingua di tutti i giorni molti olandesi chiamano que sti cittadini. Parentele neppure trop po lontane, poi: già la nonna materna di Wilders, Johanna Ording-Meijere, moglie di un colono olandese nelle ex-Indie Orientali (l’attuale Indonesia, il più grande paese a maggioranza musulmana nel mondo) avrebbe avuto, come si usa dire, sangue misto. Tutto questo ha rivelato un esperto di genealogia, ricostruendo l’«albero» dei Wilders, e ora lo conferma - con uno studio di sei pagine appena pubblicato sul settimanale dei Verdi di Amsterdam - un’antropologa culturale, Lizzy van Leeuwen, che ha svolto lunghe ricerche negli archivi nazionali e che aggiunge un pizzico velenosetto della sua scienza alla zuppa già piccante delle polemiche: an che il ciuffo quasi albino e clamorosa mente ritinto di Wilders, dice infatti la studiosa, si può spiegare con la vo lontà di nascondere certe radici, di fuggire da un passato familiare che Wilders avrebbe sempre nascosto o dimenticato, tant’è che non lo cita nel le sue biografie. E anche le sue idee sarebbero così radicali, proprio per il desiderio di chiudere certe pagine.
Secondo la ricostruzione fatta ora, Johann Ording, il nonno materno di Wilders, proveniva da un’antica fami glia ebrea della madrepatria e si era trapiantato nell’isola di Giava, in Indo nesia, come direttore dell’amministra zione finanziaria. Sua moglie, Johanna, era una di quelle bellezze euro-asiatiche che così spesso si incontravano nelle famiglie dei coloni: e aveva, ovviamente, dei parenti musulmani. Gli Ording erano benestanti, avevano una numerosa servitù. Ma in torno al 1930, Johann fu colpito da un dissesto finanziario, e mentre era in vacanza in Olanda scoprì di essere sta to licenziato. Seguirono periodi di cri si e di frustrazione, anche perché nel 1949 l’Indonesia divenne indipenden te e molti altri coloni rimpatriarono. Negli anni '70, con l’esplodere dell’immigrazione dal Nordafrica e dalla Turchia, crebbero le difficoltà per gli «indi », in un mercato del lavoro sempre più ristretto (molti di loro, ricordano gli storici locali, militavano nei partiti di estrema destra). E nacquero i primi attriti con gli «altri», i musulmani: an che questo sfondo avrebbe contribui to al germogliare delle idee di Wilders. Il quale, finora, non ha replicato alle ricostruzioni: lavora a preparare le prossime elezioni a L’Aja, distribuisce vignette satiriche su Maometto, ripete che «non ho nulla contro i musulmani come persone» e nel frattempo auspica che Romania e Bulgaria «lascino l’Unione Europea». Chissà se qualcuno sta già cercando un bisnonno romeno, in quello stesso albero genealogico.


Corriere della Sera, 07 settembre 2009


Ora non so voi, ma io farei un monumento a questa antropologa. Propongo che l'antropologa Lizzy van Leeuwen venga in Italia a condurre una ricerca su tutti i leghisti. Magari si scopre che Borghezio aveva un prozio arabo o che Calderoli discende da una famiglia calabrese.
Chi pensasse che si tratta di un semplice problema individuale si sbaglia di grosso; è l'espressione, invece, di un'intera società. Il razzista che grida di voler cacciare “lo straniero”, l'esponente di una cultura e di un'etnia diverse, in realtà si tinge i capelli per mascherare i caratteri di quell'etnia e rinnega i suoi antenati per cancellare ogni segno di quella cultura su di sé. È un processo tipico dello xenofobo. Nell'uomo Mosè e la religione monoteistica Sigmund Freud attacca il nazismo (proprio nel momento della sua ascesa) che parlava di razza ariana e identità tedesca e accusava gli ebrei di tutti i mali possibili. Gli ebrei sono stati un popolo tradizionalmente discriminato, anche prima del nazismo. Contro di loro veniva lanciata l'accusa pretestuosa di essere i carnefici di Cristo. Tanto è demenziale il razzismo che si fingeva di ignorare che Cristo stesso era ebreo e che il cristianesimo ha le sue origini nell'ebraismo. Il nazismo utilizzò questo vecchio pregiudizio (ma basta vedere anche la posizione ufficiale della Chiesa Cattolica su questo punto fino a non molto tempo fa) per criminalizzare il popolo ebraico ed erigere la “razza ariana”, germanica e cristiana, a popolo eletto (tra l'altro condividendo proprio con l'ebraismo la credenza del “popolo eletto” appunto). Freud ridicolizzava proprio questa concezione, mostrando come in realtà ogni cultura, ogni società, non è mai un blocco granitico, un monolite uniforme e sempre uguale, ma un incontro e un insieme polimorfo di altre culture e altre società. La propria religione non esisterebbe senza l'apporto di altre religioni, anche quelle che vengono rifiutate.
Non solo, ma spesso capita che le culture che vengono respinte, sono proprio quelle che compongono la nostra. Mosè in realtà era egizio. La religione ebraica ha molte affinità con quella egizia. Proprio in coloro che sono accusati dagli ebrei per il loro culto “demoniaco” e da cui essi vogliono liberarsi, risiede l'origine del “popolo eletto”.
Era un'accusa potente, e neanche troppo velata, contro i nazisti. Proprio con le società che si vogliono cacciare o eliminare si condividono caratteri culturali fondamentali. Respingere le altre culture, quindi, significa rinnegare noi stessi, perché noi non siamo che il risultato di un processo di ibridazione e di mescolamento delle razze, delle culture e delle religioni. Siamo tutti meticci, potremmo dire.
Se volessimo dare una spiegazione psicologica al fenomeno che stiamo vivendo e di cui quel politico olandese è l'espressione lampante potremmo dire che il razzista proietta se stesso e la parte di sé che non riesce a controllare e di cui ha paura, su qualcun'altro, illudendosi così di poterla controllare meglio. Egli ha una personalità scissa e questa scissione lo porta a distruggere gli altri e se stesso.
Da un punto di vista antropologico cancellare le altre culture significa cancellare la nostra, poiché questa si è formata, e continua a formarsi e a vivere, solo in rapporto con le altre. Anche se questo rapporto fosse meramente conflittuale, finiremmo comunque per subire l'influenza del “nemico”, anche se in modo negativo. L'eliminazione del “nemico” non significa la nostra vittoria, ma il nostro suicidio.
Insomma, il razzismo rivela un rapporto insano con le proprie origini, i propri antenati e infine con se stessi. Rivela che c'è una parte di noi che non conosciamo e che vogliamo rinnegare e per questo la attribuiamo a qualcun'altro dicendo che non ci appartiene. Come è il caso di Wilders che si tinge i capelli o che rimuove la sua discendenza meticcia e islamica.
C'è chi parla di “radici cristiane” dell'Occidente. Ma l'Occidente possiede radici non solo cirstiane e giudaiche, ma anche islamiche, pagane, orfico-orientali, arabe, mistiche, animiste, deiste, atee, agnostiche e quant'altro.
Proprio coloro che parlano di “difesa della nostra identità” in realtà sono quelli che l'identità rischiano di distruggerla, perché in realtà non la conoscono e non la conoscono perché ne hanno paura, perché temono che riveli qualcosa di loro stessi che non vorrebbero scoprire.

domenica 6 settembre 2009

Imparare la democrazia


Vorrei segnalarvi questo blog, Scuola di Democrazia Diretta che propone di aprire un dibattito culturale sulla democrazia a cui tutti possono partecipare. Ha una struttura orizzontale, nel senso che ognuno ha pari dignità nell'esprimere le proprie idee. Secondo le parole dell'autore "Ogni mio blog è una sorta di scuola senza maestri e senza allievi, dove tutti insegnano e apprendono al tempo stesso, ciascuno secondo le proprie conoscenze e la propria sensibilità". Insomma un laboratorio a cui tutti possono prendere parte, come scrittori o anche semplici visitatori.
Posso garantire personalmente poi sull'affidabilità dell'amministratore che è persona aperta e culturalmente preparata.

Non mancate!

giovedì 3 settembre 2009

La sinistra che fa la sinistra


Uno spettro si aggira per l'Europa, questa volta il fantasma ha le fattezze duplici di Gregor Gysi e Oskar Lafontaine i leader della Linke, la formazione della cosiddetta “sinistra radicale” tedesca nata dall'unione dei transfughi dell'Spd riformista e dagli eredi della Sed (il partito comunista della Gemania est). La Linke nelle elezioni regionali di domenica scorsa, che hanno riguardato tre dei 16 lander tedeschi, ha visto una crescita esponenziale dei suoi consensi raggiungendo il 19,5% dei voti. Ora si apre uno scenario dove ogni maggioranza di governo potrebbe essere possibile.
Uno spettro si aggira per l'Europa, questa volta il fantasma ha le fattezze duplici di Gregor Gysi e Oskar Lafontaine i leader della Linke, la formazione della cosiddetta “sinistra radicale” tedesca nata dall'unione dei transfughi dell'Spd riformista e dagli eredi della Sed (il partito comunista della Gemania est).

Domenica scorsa infatti si è votato in Germania per le elezioni regionali in tre dei sedici Stati della Repubblica federale (Sassonia e Turingia all'Est, Saarland all'ovest) e per le comunali nel Nordreno-Westfalia. I risultati hanno visto un forte calo della Cdu, il Partito cristiano democratico del cancelliere Angela Merkel che perde in Sassonia, Turingia e nella Saar, una sostanziale tenuta dell'Spd e appunto una spettacolare affermazione della Linke che ha raggiunto il 19,5% dei consensi.

Ma al di là del dato numerico, è quello politico ad assumere più valore, dopo 20 anni dalla caduta del muro potrebbe essere possibile anche a livello federale una maggioranza di governo che comprende una formazione composta da comunisti, la Linke infatti è stata definitivamente sdoganata e una sua alleanza con i socialdemocratici non appare impossibile soprattutto se la Merkel non riuscirà a mettere in campo un accordo con i Liberali che finora non ha portato grossi vantaggi.

Tutti gli scenari, a causa dell'alto grado di indecisione degli elettori rilevato da tutti i sondaggi, quindi diventano sorprendentemente possibili per le prossime elezioni politiche: maggioranza giallo-nera (liberali e Cdu), una riedizione della Grosse Koalition tra la Merkel e l'Spd oppure un governo di sinistra con social democratici, verdi e Linke.

In quest'ultimo caso l'instabilità potrebbe essere la caratteristica principale vista la differenza tra i partiti su alcuni temi fondamentali come Ue, Nato, Afghanistan, Iran, politica economica. Ma l'affermazione della Linke ha assunto un significato particolare che potrebbe travalicare le tradizionali differenze di schieramento, la prova è data dal fatto che la sinistra è cresciuta esponenzialmente, non solo nelle tradizionali roccaforti dove risiedono i ceti sociali più poveri, ma soprattutto in due regioni come la Turingia e la Sassonia che dopo la riunificazione sono tornati i più ricchi, con una diffusa industria esportatrice ad alta tecnologia, e dove ceti medi e classe operaia ben pagata sono fasce significative della società.

AMI, 1 Settembre 2009



Tutti coloro che avevano detto che il socialismo è morto, devono ricredersi. La risposta è arrivata dalla Germania. La Linke, il partito della sinistra tedesca, quella non preceduta dalla parola “centro” né seguita dall'aggettivo “moderata”, era fino a poco tempo fa, dato in via d'estinzione. Eppure, in pochi anni, è passata da circa il 3% ad oltre il 20 % in diversi Lander.
Come si spiega questa clamorosa vittoria? Il risultato dev'essere contestualizzato in quella che è la realtà politica e sociale della Germania e dell'Europa.
Innanzitutto bisogna considerare la crisi economica mondiale, che non ha risparmiato la Germania, colpendo le classi più deboli.
In secondo luogo, non va dimenticata la complessa situazione politica tedesca, in cui c'è un governo formato da una coalizione tra centrodestra e centrosinistra, cioè socialdemocratici e cristiano-democratici. Come tutte le “grandi coalizioni” ha suscitato forte delusione presso tutti gli elettori, sia quelli di sinistra che quelli di destra. E lo conferma il dato delle elezioni regionali che hanno segnato un netto calo della Cdu della Merkel e una tenuta della Spd che però aveva già perso in precedenza.
La Linke invece è stata premita da un'opposizione intransigente che ha evitato qualsiasi genere di collusione, sia per propria volontà sia perché tradizionalmente marginalizzata dalle altre forze politiche.
Infine, è importante la particolarità della società tedesca, avanzata e industrializzata, ma pur sempre con forti differenze, soprattutto tra Est e Ovest. A queste diseguaglianze i governi che si sono succeduti, tanto quelli di Spd e Verdi, quanto i conservatori di Cdu e liberali non hanno saputo dare valide risposte.
In questo contesto l'opposizione della Linke è apparsa molto efficace, con lotte al fianco dei lavoratori e delle classi più deboli e con una politica di tutela sociale e di redistribuzione del reddito.
Sconfitti sono stati non solo i partiti di governo, ma anche i presupposti politici sui quali essi hanno fatto affidamento. L'idea, cioè, che si potesse governare convergendo verso il centro dell'elettorato e tendendo fuori le “ali”.
È questa una concezione assai diffusa, quella che per vincere le elezioni si debba costruire un profilo moderato, che non scontenti gli elettori di centro, perché sarebbero questi a fare da “ago della bilancia”. In realtà questa teoria, trascura importanti fattori. Innanzitutto l'astensionismo. Se un partito decide di spostarsi verso il centro, trascurando i propri elettori, per guadagnare consensi tra quelli che prima non lo votavano, è incerto se riesca in questa impresa, ma sicuramente, una parte del proprio elettorato tradizionale andrà disperso, o perché questo voterà altri partiti, o perché non andrà a votare. Difatto questa politica, quindi, si traduce in una perdita di voti. È tutto da dimostrare, poi, che elettori tradizionalmente estranei a quel dato partito decidano di votarlo, e in misura massiccia, solo perché questo ha deciso di “andargli incontro”. È invece assai probabile che gli elettori rimangano disorientati di fronti a questo “tradimento” delle radici, fossero anche quelli degli avversari. Una certa diffidenza, rimane comunque. Può darsi che alla lunga questa differenza sia superata, ma, alla lunga, rischia anche di essere un disastro, perché gli elettori più affezionati, lo “zoccolo duro” del partito, finiscono anch'essi per cambiare le proprie abitudini e non votare più il proprio partito. In Italia ne abbiamo avuto l'esempio clamoroso. Sulla base di questo assunto, di un partito moderato non più “ideologico” è nato il Partito Democratico. Ma i consensi, tutt'oggi, non sono mai arrivati, ed anzi è arrivata una solenne bocciatura da parte degli elettori. È chiaro che in Italia il problema per le forze progressiste sia l'astensionismo degli elettori di sinistra. Dall'altra parte invece, si è vista una destra tutt'altro che timorosa delle proprie idee e che continua ad avere successo, anche nelle sue componenti più radicali, come dimostra il caso della Lega.
Insomma la realtà italiana, da sola, basterebbe a smentire il luogo comune politologico che è stato tanto di moda fino ad oggi. Si potrebbero però citare casi come quello inglese, dove sembra avvenuto il contrario. In Gran Bretagna i laburisti, che da decenni non andavano al governo, hanno conquistato la vittoria e sono rimasti per molti anni al potere dopo un “rinnovamento” del partito, l'abbandono di alcuni principi cardine della propria tradizione e l'apertura al libero mercato. Tuttavia questa sarebbe una lettura parziale. Non si può analizzare la parabola del “New Labour” degli anni '90 senza confrontarla con quella dei loro avversari conservatori. Infatti la sinistra inglese è stata favorita dal governo eterno dei conservatori, dalla fine di un ciclo politico e dalla stanchezza dell'elettorato non più soddisfatto nei confronti delle loro politiche. Dopo decenni di governi conservatori, è facile immaginare che prima o poi sarebbe giunto il momento di un cambio. Tuttavia i laburisti hanno sostanzialmente proseguito nelle politiche liberistiche dei loro avversari, tranne per qualche leggera differenza. Così oggi dobbiamo constatare la loro disfatta. Un premier, Tony Blair, che abbandona l'incarico anzitempo e un altro, Gordon Brown, che sembra destinato alla ineluttabile sconfitta.
Se fosse vera la teoria “centrista” dovremmo avere a quest'ora tutti governi centristi stabilmente al potere. Eppure avviene il contrario. Negli Usa dopo otto anni di governo Bush, quindi tutt'altro che moderato, è succeduto un afro-americano con un programma assai più “audace” (considerando la situazione “bloccata” politica americana) di quello dei suoi predecessori. In Italia il governo Prodi, con la sua estrema cautela politica, è durato appena un paio d'anni, succeduto da un governo di destra assai meno scrupoloso nel “moderare” la propria tendenza politica, con una salda maggioranza. Del caso della Germania abbiamo già parlato. Merita menzione la Francia dove il rinnovo, pomosso nel campo socialista da Segolen Royal è fallito clamorosamente e il partito sembra voler tornare “alle origini” della Aubry (colei che propose le 35 ore). L'unica volta che i socialisti sono stati al governo è stato con un programma decisamente più radicale, che prevedeva l'abbassamento dell'orario di lavoro e la nazionalizzazione dell'energia. Dall'altra parte abbiamo la destra di Sarkozy che rompe l'alleanza col centro e che assume un profilo decisamente più netto di quello di Chirac.
Insomma, tutti i profeti che hanno gridato ai quattro venti che “le elezioni si vincono al centro”, a cominciare dall'eminente Giovanni Sartori, dove sono stati ascoltati col cappello in mano dai politici, hanno portato al fallimento la sinistra, mai la destra che invece non li ha mai ascoltati.
Anche perché è assai discutibile ciò che si intende con “moderato”. La politica di privatizzazione selvaggia attuata in Italia sia dal centrodestra che dal centrosinistra non mi pare sia proprio moderata. Sicuramente non è di sinistra. A nessun grande politologo è venuto mai in mente che forse è proprio questa la ragione per cui la sinistra perde? Semplicemente perché ha smesso di fare la sinistra?

mercoledì 2 settembre 2009

L'Italia oggi

Vorrei proporvi questo video che ho fatto montando delle immagini che credo rispecchino la realtà italiana su una canzone di qualche anno fa ma ancora attualissima.

Buona visione.


martedì 1 settembre 2009

Criminali di Stato


ROMA
Nel giorno della visita a Tripoli del premier Silvio Berlusconi, il governo italiano decide un nuovo respingimento in Libia: 75 migranti, tra loro 15 donne e 3 minori, intercettati stamattina a circa 24 miglia a sud di Capo Passero - in un’area al limite della competenza italiana per quanto riguarda il soccorso in mare - sono stati trasbordati su un pattugliatore d’altura della Guardia di finanza per essere condotti nel paese nordafricano.

Da poco atterrato a Tripoli, il premier dice di non essere al corrente dell’accaduto, ma spiega: se vogliamo procedere ad una politica di vera integrazione dobbiamo essere rigorosi per non aprire l’Italia a chiunque. Arriva a stretto giro la replica Pd. Berlusconi -dice Dario Franceschini- oltre a guardare le Frecce farebbe bene a vedere cosa succede in Libia nei campi in cui si accolgono gli immigrati. «Ancora una volta -aggiunge Felice Belisario (Idv)- il premier è forte con i deboli e debole con i forti. I respingimenti preoccupano l’Alto commissariato Onu per i rifugiati. Per Laura Boldrini, portavoce in Italia dell’Unhcr, invece di arginare il fenomeno dell’immigrazione si penalizzano i richiedenti asilo, persone in fuga da guerre e persecuzioni che hanno diritto a ottenere protezione.

La Stampa, 30 agosto 2009


Bisogna dirlo chiaramente senza troppi giri di parole. A capo del nostro governo ci sono dei criminali veri e propri, degli assassini, dei macellai che barattano la vita delle persone per fare affari e guadagnare qualche voto in più dagli ignoranti chi li hanno eletti.
Lasciamo perdere il solito anatema qualunquista “governo ladro”, questo non è solo un governo ladro, è un governo assassino.
Come si potrebbe definire altrimenti chi respinge dei disperati venuti per terra e per mare, attraverso trabiccoli galleggianti sovraffollati di gente affamata e terrorizzata per condannarli a una sorte senza scampo? Il Delinquente del Consiglio a capo di una coalizione di affaristi, fascisti e criminali della peggior specie, unisce tutta la bestialità di cui è capace con un'ipocrisia filistea. Finge di ignorare il fatto che i “clandestini”, che altro non sono che esseri umani nascosti dietro le cifre che il Ministero degli Internamenti snocciola con macabra freddezza, una volta respinti andranno a popolare le carceri libiche dove saranno pestati dalle guardie, torturati e maltrattati, quando non abbandonati nel deserto libico a morire di fame e di sete. Come si può definire chi è complice di azioni simili? È forse eccessivo paragonare una simile deportazione e un simile massacro all'olocausto ebreo della Seconda Guerra Mondiale? Non si dica che loro “non sanno”, patetica scusa accampata da tutti i criminali nazisti. Se i giornalisti sono in grado di conoscere il destino di migliaia di profughi che cercano disperatamente di entrare in Italia per fuggire alla guerra, alle persecuzioni o alla fame, a fortiori è in grado di venirne a conoscenza un governo che dispone di un apparato di servizi segreti. Ma non conviene agli imprenditori della morte mostrare gli scheletri nell'armadio di un regime tirannico. Con la Libia vige un accordo che permette ai sicari al potere di provvedere grandi appalti all'industria nazionale e oliare la macchina della propaganda razzista e fascista che si vanta dei respingimenti come di una grande risultato della biopolitica, anzi della “tanatopolitica”.
Il governo sa e quasi lo ammette esplicitamente quando Roberto “Zanna Verde” Maroni (il “moderato” della Lega, lo stesso che morse un poliziotto e che disse che con i clandestini bisogna essere “cattivi”) risponde a chi lo accusa di violare i diritti umani con la riduzione del numero di sbarchi. Come dire: se questi sono i risultati, ben venga anche violare i diritti umani, negare il diritto di asilo, mandare a morte nelle carceri libiche migliaia di disperati colpevoli solo della loro condizione. In cambio, in un perfetto mercato di bieca propaganda di regime, la Banda Berlusconi che governa l'Italia manda all'anniversario del governo fascista di Gheddafi le frecce tricolore. Cioè manda il fior fiore della nostra aviazione a festeggiare l'inizio di una dittatura, a spese ovviamente del contribuente. Come se durante il Ventennio la Gran Bretagna avesse mandato la RAF in Italia per celebrare la marcia su Roma.
Finiamola anche con la favola, sentita ripetere dalle canaglie leghiste, che “bisogna aiutarli a casa loro”. Se ogni immigrato dovesse aspettare gli aiuti del governo italiano farebbe in tempo a morire, assieme ai suoi figli, ai suoi nipoti e a tutta la sua stirpe. Per non smentirsi gli aiuti alla Cooperazione e allo sviluppo sono stati, ancora una volta, tagliati. Come “Aspettando Godot” questi aiuti “a casa loro” si aspettano sempre ma non arriveranno mai.
Ma poi è un ragionamento da testa di Cota: se un clandestino bussa alla porta di casa mia per chiedermi due spiccioli, io glieli do, non dico “non te li posso dare perché bisogna aiutarti a casa tua” bell'aiuto! Che bontà! Ci sono migliaia di esseri umani che lottano sul filo del rasoio, spesso tra la vita e la morte e certo non possono aspettare che venga varata la prossima finanziaria, ammesso, per pura fantasia, che venga fatto qualcosa. Per loro bisogna agire subito, adesso, senza perdere tempo perché ogni giorno in più può costare la vita ad altri.
Ma non si spreca nemmeno lo humor nero che possiedono Popolo delle Impunità e la Lega dei Fasci. Infatti vorrebbero anche praticare la cristiana virtù del perdono con la sanatoria (quasi fosse un condono edilizio, come se si stesse parlando di cose e non di persone) per regolarizzare colf e badanti. A parte il fatto che è un provvedimento fortemente classista, che andrà a vantaggio dei soliti ricchi che possono permettersi di pagare 500 euro solo per regolarizzare la propria cameriera. Ma ne emerge tutto il bieco cinismo spacciato per umanitarsimo. Gli stranieri vanno bene solo quando servono ai nostri scopi. Se si tratta di pulire le nostre case o il culo dei nostri anziani affetti da Alzehimer, allora gli stranieri vanno bene. Salvo poi rimandarli nella tana del lupo quando fa comodo. Certo questo atteggiamento riflette quello di molti italiani, cinici, ipocriti, rozzi e ignoranti, che considerano le persone di un altro paese niente più che dei servi.
E allora “bisogna rispedirli a casa loro” (perché essendo dei pacchi postali li si spedisce) ma non la colf che mi pulisce la casa. Questo è il modo di pensare del leghista tipo (e non solo).
Quindi smettiamola con questo falso fairplay che molti dell'opposizione sperano di portare avanti. Quei beceri palloni gonfiati ignoranti della Lega non si fanno certo problemi a definire i gay “froci”, i meridionali “terroni” e quelli che hanno la pelle un po' più scura della loro “negri”. E allora perché dovrei pormi io il problema di chiamare loro teste di cazzo? “Quanno ce vo', ce vo'” dicono a Roma ladrona. Tra l'altro è la pura verità. Anche se li chiamassi teste di organo sessuale maschile o teste di augello, il concetto sarebbe sempre lo stesso. Come del resto non c'è da censurarsi nel definire assassino un capo di governo che firma un accordo per avere appalti sulla pelle di esseri umani.
Per cui finiamola con questo timore reverenziale dell'opposizione, con la panzana veltroniana che se ti azzardi a dire troppo male dell'avversario, anzi del nemico (perché gli assassini e i razzisti sono miei nemici, non “avversari politici”) perdi le elezioni. I fatti dimostrano il contrario. Non mi pare che Berlusconi sia stato molto tenero con i suoi oppositori. E allora perché non ha perso?
Quindi diciamolo chiaramente: Berlusconi è un affarista e un criminale, Maroni un fascista manganellatore, Calderoli un porco che fa vergogna ai porci, Bossi un ignorante, Gentilini un nazista.
Se volete contribuire anche voi alla ricerca della migliore definizione per questa gente, fatevi avanti.