mercoledì 31 marzo 2010

Tutta colpa loro!

Che ignoranti! Che idioti! Potevamo vincere e invece... Di che si lamentano se poi non votano chi sta dalla loro parte? Colpa di questa cultura qualunquista, colpa delle televisioni e dei giornali! Colpa di quelli che invitano a non andare a votare.! Colpa delle liste minori e dei candidati che non ci sostengono. Colpa di chi si astiene, colpa loro! Noi abbiamo fatto il possibile, mi creda, glielo dico con tutto il cuore, so che lei mi capisce... cos'altro potevamo fare? Noi abbiamo cercato di liberare l'Italia da un demagogo e un populista, ma che possiamo farci se la gente non ci sostiene? Che possiamo farci se le televisioni sono controllate da una sola persona? Mica possiamo fare come una volta, con le campagne elettorali porta a porta, i tempi sono cambiati! Mica possiamo andare nelle fabbriche, quello è compito dei sindacati... i sindacati! Lei ne sa qualcosa mia cara. La colpa è anche la loro, non possiamo mica fare tutto da soli! Loro dovrebbero occuparsi del lavoro, che se gli operai non ci votano più è colpa loro! Io ci sono andato anche in fabbrica una volta, ma che posso farci se si sono rifiutati di ascoltarmi, se mi hanno insultato e se mi hanno tirato le uova marce! Che schifo! Mi perdoni se mi esprimo così, ma sono davvero cose dell'altro mondo, mia cara! Ha visto come è ridotta la mia nuova Mercedes? Io ci provo a parlare con i lavoratori.. sono i lavoratori che non vogliono parlare con me! E che è colpa mia? Loro mi impediscono di parlare! Lo so che lei conosce le regole del vivere civile molto meglio di questi pezzenti e tutto questo le sembrerà strano, ma, mi creda, le cose ormai vanno così... Questa non è democrazia! In democrazia bisogna lasciar parlare tutti e loro non mi hanno lasciato parlare! Mi hanno fischiato e insultato... per fortuna che c'erano le guardie del corpo a proteggermi, sennò chissà che poteva fare qualche testa calda! Io voglio aiutarli i lavoratori, sto dalla loro parte, ma anche loro devono capire che la politica è fatta di compromessi e senza compromessi non si governa... Mi scusi un momento, sa? Il telefono...
Pronto? Sì? Salve Presidente! È un piacere sentirla... Come dice? Si congratula per la mia elezione? Grazie, Grazie! Lo apprezzo molto... apprezzo molto quello che sta facendo la sua azienda per il partito, per fortuna c'è ancora qualche persona sensata in questo paese... Certo sì, non abbiamo vinto... però qualche accordo con la maggioranza possiamo trovarlo... e vedrà che grazie a noi riusciremo a rilanciare il made in Italy e a sostenere le classi produttive... non si fidi troppo della destra... quelli parlano, parlano, ma alla fine... è su noi che potete contare veramente, noi vogliamo rilanciare l'imprenditoria della nostra terra, vogliamo valorizzare i nostri giovani... Certo, certo... meritocrazia, lo dico anch'io, ci vuole più meritocrazia... Ma no! Non deve preoccuparsi di lui! Stia tranquillo questi estremismi non andranno da nessuna parte! Quello non conta nulla! Ha contro tutta la coalizione... Ma quali tasse! Ma no! Se le dico che può stare tranquillo... si fidi di me... ormai tutti gli estremisti sono fuori, gli industriali possono stare tranquilli...ma certo, capisco che lei è occupato... non voglio trattenerla a lungo, grazie, caro Presidente, lo apprezzo veramente, tutti noi del partito lo apprezziamo, sappia che potrà sempre contare su di noi, noi non tradiamo, noi, ci abbiamo degli ideali, noi... un caro saluto a sua moglie... e come sta la piccola? Ma certo, certo... eh eh... tutto suo padre!... Arrivederci, Presidente e grazie ancora!..
Come le dicevo, mia cara, la gente deve capire! Devono capire tutti.. se perdiamo noi vince la destra e se vince la destra perdono anche loro... Povera Italia! Io non lo faccio mica per me.. a me che mi frega dopotutto? Io c'ho comunque il posto da consigliere assicurato, ho di che mantenere la mia famiglia, è che mi preoccupo, come lei del resto, per questo paese sempre più alla deriva! Mi preoccupo per i risparmiatori, per le famiglie... lo diceva la buon'anima di suo marito, lo diceva sempre: liberalizziamo! Bisogna liberalizzare tutto per sostenere il piccolo investitore... e quanto aveva ragione, cara mia...io ho fatto la mia campagna elettorale su questo... per dare fiducia alle famiglie, per sostenere i consumi contro questa crisi... Una finanza responsabile, ci vogliono delle regole... delle regole per fare una finanza rispettabile ed eticamente decorosa... una finanza dal volto umano... Mi scusi, un'altra telefonata...
Pronto? Chi parla? Oh! Direttore! Mi creda, stavo pensando proprio a lei in questo momento!... sì, lo so, lo so... Grazie, grazie... Ma no! Non si deve preoccupare! Dorme tra due guanciali! Mi dica, l'ho mai delusa? Lo so. Sono tempi difficili questi, con questa crisi e so che anche la sua banca deve affrontare un brutto periodo... ma vedrà, andrà tutto bene... quelli come noi non li ammazza nessuno, eh eh!... No... non deve mica impensierirsi per uno come quello! Sembra un predicatore, ma in realtà non ha nessuna forza, non abbiamo bisogno di lui, lo scarichiamo quando ci pare... Come? Ma no, si figuri! Che paura le fanno i giudici? Non si aprirà nessuna inchiesta, glielo dico io! E anche si si aprirà si concluderà in un nulla di fatto, come sempre! Le persone per bene come lei non hanno nulla da temere, stia tranquillo, può dormire sonni tranquilli... no, ma no, le pare? Solo un pensierino da parte di mia moglie, sa? Fa delle torte fantastiche! La prossima volta che viene a cena dovrà assaggiarne una... Va bene... certo, la terrò informato... grazie di tutto... saluti a casa!..
Non hanno capito... non hanno capito... c'è un problema di comunicazione... per battere la destra dobbiamo competere sul piano della comunicazione! Ma come fai se le televisioni ce l'hanno in mano loro, mi dica lei... è difficile... Abbiamo tutti contro... Tutti contro! Elettori di destra ed elettori di sinistra, stampa, televisioni, anche blog, ormai è l'era di internet... tutti contro di noi! Ma che gli abbiamo fatto? Non capiscono che così fanno il gioco della destra? Laici e cattolici, tutti contro di noi! Vuoi accontentare uno e scontenti l'altro! C'è sempre qualcuno che ha qualcosa da ridire... Vuoi legalizzare le coppie di fatto, ma si lamenta la Chiesa, vuoi finanziare le scuole cattoliche, ma si lamentano i laici... ma cosa vogliono da noi poi questi laici? Non lo sanno quanto è potente la Chiesa? Non lo sanno che con la Chiesa bisogna conviverci? Cosa vogliono da noi. Lei lo sa? Pretendono che gli diamo la luna e se non gliela diamo si arrabbiano... dico, potrebbero almeno venirci incontro, almeno loro... se sono laici dovrebbero essere aperti alle idee altrui... e invece, tutti arroccati sulle loro posizioni, ma non è così che si fa! Non è così che si batteranno mai le destre! Bisogna cercare un accordo, ci vuole il confronto, ci vuole, discutiamo... laicamente, senza pregiudizi, senza ideologie, non ci servono le ideologie, ci serve il buon senso... e ci servono i voti, voti soprattutto! Senza voti non si va da nessuna parte! La gente lo deve capire... deve capire che se non ci vota noi non possiamo far niente, va bene i diritti!, va bene i diritti delle donne e dei gay, sono d'accordo, anch'io li voglio... ma dobbiamo fare i conti con la realtà nuda e cruda e la realtà è che ci servono i voti... voti e appoggi. Non possiamo permetterci di scontentare nessuno. Per battere le destre ci vuole coesione, unità, dobbiamo fare fronte comune, non pensiamo che con dei principi irremovibili possiamo mai vincere... Laicità? laicità dello stato? bene, anzi, benissimo! Ma i cattolici dove li mettiamo? Anche loro vogliono la laicità! Semplicemente non vogliono certe radicalizzazioni, certi eccessi, certe intemperanze di qualche intellettuale... Ah! Questo telefono, oggi! Un attimo solo...
Pronto? Oh! Eminenza! È un onore sentirla! Come sta? Ah! Grazie!... Non doveva disturbarsi a chiamare, Eminenza... Non sa che piacere... Ma sì, certo che non ci dimentichiamo di voi!... Noi teniamo ai valori cristiani e vogliamo difendere la famiglia... no... no, Eminenza, non si preoccupi nessuno toccherà quella legge in consiglio, anche se l'ha fatta la destra, noi non abbiamo pregiudizi... si certo... le scuole cattoliche sono un pilastro dell'istruzione italiana, sono d'accordo con lei... certo, certo Eminenza... bisogna dare a tutti la libertà di scegliere il tipo di istruzione è naturale... le garantisco che le scuole pri... paritarie sono al sicuro, Eminenza... Grazie, per gli auguri Eminenza, anche se sono certo che tra poco gli auguri dovrò farli io a lei, che il Santo Padre nominerà una nuova porpora!... Ma no Eminenza, non dica così... vedrà! si ricordi che sono un membro fedele della sua diocesi e non l'abbandonerò mai, può sempre contare su di me... Come dice Eminenza? Cosa penso dell'iniziativa del nostro deputato in favore dei preservativi? Una cosa che mi ha lasciato esterrefatto, così senza avvertire la segreteria! Senza dire nulla a nessuno, non si fa così... ma non si preoccupi la pecorella tornerà all'ovile... Ma certo, stia tranquillo Eminenza... Grazie per questa telefonata... Dio la benedica Eminenza, la saluto...
Insomma, le dicevo, lei che è una persona colta e intelligente mi capirà, bisogna fare una battaglia culturale su questo... lei che gode della stima di tutti, lei che ha grande influenza...tutti noi dobbiamo rimboccarci le maniche, certo, sarà difficile... mala tempora currunt... Abbiamo tutti contro, la destra è riuscita a metterci tutti contro... Noi ce la mettiamo tutta, ma cosa possiamo fare? Mi dica lei cosa possiamo fare? Eh! Mia cara Contessa, che tempi! Non c'è legalità, non c'è più rispetto per nessuno! Che roba! Che roba... Contessa... Non c'è più morale... Contessa.

lunedì 29 marzo 2010

Nullità

Avrei dovuto scrivere la seconda parte del post sulla democrazia, ma dato che ci sono le elezioni, tratterò del voto in corso per la seconda e ultima volta rimandando la trattazione dell'argomento affrontato. Non mi avventurerò dopo le elezioni in sofisticate analisi politiche. Lascerò questo onore a qualcun altro. Detto francamente, che il centrosinistra o il centrodestra guadagnino o perdano consensi non mi interessa granché, anche perché non sempre vanno uniti, vedrei piuttosto, caso per caso, se esistono amministrazioni locali di centrosinistra, per cui valga la pena votare, non dico eccezionali ma quantomeno accettabili.
Se fossi in Puglia voterei per Vendola, anche non essendo un vendoliano e anche non condividendo la sua linea politica a livello nazionale. Ma certamente preferisco mille volte un Vendola a un Loiero o a un De Luca. Inoltre considero prepotente e scorretto sotto tutti i profili la scelta che il Pd aveva preso di contrapporgli un candidato impresentabile alle primarie o addirittura di non svolgere proprio le primarie ma candidare uno che voleva fare sia il sindaco che il presidente regionale. Poi le cose sono andate diversamente. Comunque credo che la politica non si faccia così e penso che per questo gli elettori di sinistra in Puglia dovrebbero sostenere Vendola.
Se fossi in Emilia Romagna non voterei né, ovviamente, per la destra, perché la destra non mi piace mai, in nessun caso, essendo io di sinistra, né per il centrosinistra che ricandida per la terza volta un Presidente di Regione dopo dieci anni di governo, in violazione della legge italiana e della costituzione. Se fossi nel Lazio non voterei assolutamente per la Bonino, che è esponente di un partito liberista, militarista, e atlantista. Se fossi in Lombardia non voterei Penati che mi piace quanto il suo partito, ma è anche vero che mi darebbe immensa gioia dare un dispiacere a Comunione e Liberazione e alla Chiesa mandando a casa il loro pupazzo di regione. Ma me ne darebbe altrettanta mandare dare un dispiacere anche ai Moratti, per cui Penati pure sarebbe da escludere. Penso che voterei Agnoletto, perché è uno dei rari casi in cui Rifondazione decide di non fare alleanze con Pd e Di Pietro.
Questo per far capire la mia posizione. Ed evitare che possa essere confusa con quella dei grillini (che poi sostengono Di Pietro, viva la coerenza!) o delle anime belle che darebbero del corrotto anche a Gesù Cristo, se si candidasse.
Tuttavia non mi trovo in nessuna delle regioni sopraelencate. Nella mia regione non si vota per le regionali. Nella mia città però si vota per le comunali. Premetto che fino ad ora c'è stata un'amministrazione di centrosinistra, decaduta due mesi fa per crisi di maggioranza. Preciso e sottolineo che il sindaco era dell'Italia dei Valori. Non mi addentro nei particolari della politica di una città di provincia, non penso che a qualcuno che non sia della mia zona possa interessare. Dico solo che questa amministrazione ha governato malissimo. Tanto male quanto la destra, se non peggio. Inutile dire che di politiche di sinistra o anche solo vagamente progressiste non se ne è vista neanche l'ombra. L'unica preoccupazione di questa amministrazione è stata di piazzare i propri uomini per nomina politica nei posti chiave, rendendo la vita quanto meno difficile a quelli già presenti e vincitori di concorsi.
Aggiungo che tutti gli esponenti politici della mia città (e della mia regione) si sono espressi contro la realizzazione di una centrale nucleare promettendo chissà quali rimostranze a Roma. Risultato: la centrale si farà lo stesso.
Ora io mi chiedo e vi chiedo: quale incognita ragione esiste per cui io avrei dovuto votare questa gente o chi, nonostante tutto, decide di allearvisi? Io non sono riuscito a trovarne una. E, credetemi, ho sempre votato e sempre a sinistra.
Per nessuna ragione al mondo voterò mai la destra tranne quella di un mio eventuale impazzimento. Però questa non è una buona ragione per dare un voto a chi non è in alcun modo utile alla realizzazione di un progetto politico che sia molto approssimativamente vicino a quello che io vorrei (e che molti elettori di sinistra vorrebbero) e che non si preoccupa nemmeno di nasconderlo.
Dobbiamo capire che il voto è un mezzo non un fine. Se questo mezzo a un certo punto si rompe e non viene riparato diventa inutile ed è inutile servirsene. Ciò è esattamente quanto è accaduto.
Perciò io a votare ci sono andato ma sulla scheda ho scritto: “Questa scheda è come l'utilità di questa classe dirigente: nulla”.
A livello nazionale, invece, quando sarà il momento, come ho già detto altrove, voterò per quel partito di sinistra che non si allei né con il Pd, né con l'Italia dei Valori (né con affini come Udc, radicali, socialisti, ecc.) i quali portano avanti delle politiche coerentemente di destra, e che abbia un programma coerentemente di sinistra. Non mi interessa che abbia lo zero virgola, se è così è perché c'è chi si ostina a votare per la destra mascherata che chiamano “centrosinistra”. Ho il diritto di votare chi voglio, non soltanto il “male minore” (che poi si rivela sempre non così minore come si credeva) e intendo avvalermi appieno di questo diritto.
I partiti attualmente presenti in parlamento infatti fanno l'interesse delle grandi lobby economiche e finanziarie.
Perciò non si creda, ribadisco, la mia decisione frutto di qualunquismo, di cui sono acerrimo nemico, bensì di semplice realismo politico, di contro all'utopismo di chi si illude che il male stia in una sola persona o in un solo partito. Votare per i servi non aiuta gli schiavi, ma i padroni.
Siamo un popolo (e purtroppo non il solo) a credere nei demoni e negli untori. E chi crede in essi crede anche nei messia. Si aspetta il capo carismatico che viene a portare la salvezza universale senza che ci sia tuttavia un movimento politico e sociale altrettanto forte e determinato. È questo fatto, più che un Berlusconi qualsiasi, a rappresentare il vero pericolo di svolta autoritaria, di fascismo.
Per questa ragione penso che il secondo criterio in base al quale votare sia scegliere quel partito che si rivolga non a un indistinto cittadino elettore (si veda la differenza che Marx rilevava tra cittadino e borghese) ma che si batta per un movimento interessato ad abolire lo stato di cose presente. Stato di cose non significa “regime berlusconiano”, ma struttura socio-economica mondiale, in una parola capitalismo.
Esiste in Italia un partito che sia così o che si avvicini ad esserlo? Io penso di sì, ma di questo ne parlerò quando sarà il momento. Per ora dico solo che non è né il Pd, né l'IdV, né i radicali, né i verdi, né la sinistra vendoliana, né Rifondazione (che non a caso si sono alleati tra di loro in certe zone).

lunedì 22 marzo 2010

La democrazia non esiste

Siamo tutti vivamente convinti di vivere in un sistema democratico. Tanto sono riusciti a fare decenni di propaganda in questo senso. Spesso sentiamo espressioni come “difendere i valori democratici”, “indire elezioni democratiche”, “sistema democratico di voto”, “paesi democratici” e così via.
Ma viviamo davvero in paesi democratici? A pensarci bene la risposta è tanto immediata quanto ovvia. Democrazia significa governo del popolo, come tutti sanno. Tuttavia nei nostri sistemi a governare non è il popolo. Il popolo elegge chi dovrebbe governare. Ma questo non è governare, è soltanto scegliere chi debba farlo. Quindi la nostra non è democrazia.
Nella Grecia Antica, dove nacque questa espressione, a governare era davvero il popolo, per come il greco dell'epoca lo intendeva, cioè escludendone le donne e gli schiavi. Questo “popolo” poteva decidere sui temi di interesse generale e votare su tutte le questioni. Al di là del significato, per noi oggi molto discutibile, che si attribuiva alla parola “popolo” c'è da dire che per i greci una cosa era abbastanza chiara. Governa chi esercita effettivamente il potere di scelta su questioni che riguardano tutta la comunità, “di interesse nazionale”, diremmo noi oggi.
Noi non esercitiamo questa scelta. L'unica scelta è quella di mettere una croce su un simbolo ogni cinque anni. E questo non vuol dire decidere un bel niente. Quando votiamo non decidiamo quale debba essere il sistema sanitario del nostro paese, né l'atteggiamento da avere in politica estera e nemmeno la tipologia di prelievo fiscale.
Una certa pubblicistica si è lamentata di questo sistema politico (cioè della democrazia vera e propria, il governo del popolo) perché a suo dire non potrebbe funzionare nelle nazioni moderne che contano milioni di abitanti. A questa obiezione risponderemo altrove. Per ora basti sapere che, anche se fosse vero ciò, e nulla può dimostrarci chiaramente che lo sia se non un esperimento pratico finora mai avvenuto, questa obiezione non prova la validità dell'alternativa che essi propongono. Costoro sostengono che, per ovviare ai problemi logistici che renderebbero impossibile l'esercizio della democrazia “diretta”, (come chiamano la vera democrazia) si eleggono dei deputati che dovrebbero rappresentare l'opinione o la tendenza politica di coloro che li hanno eletti. Così gli elettori di sinistra eleggono parlamentari di sinistra, quelli di destra parlamentari di destra, e quelli di centro parlamentari di centro. Gli eletti a questo punto portano avanti proposte di sinistra, di destra o di centro, più o meno come farebbero coloro che li hanno eletti.
Tuttavia, come tutti sappiamo, anche se non vogliamo sempre ammetterlo, questo è vero solo in teoria. Ci sono molte cose che potrebbero impedire agli eletti di rappresentare realmente la volontà degli elettori.
Un primo ostacolo è la corruzione. Se io governo direttamente sono responsabile delle mie scelte e non posso lamentarmi se commetto un errore se non con me stesso. In una democrazia vera se il popolo sbaglia la colpa è soltanto del popolo. Ma se a governare è qualcun altro cui io ho dato la mia fiducia, non sono sicuro che questi rispetterà la mia volontà. Costui potrebbe essere corrotto per sostenere politiche che io che l'ho eletto non approvo. Si potrebbe obiettare che in questo caso io avrei a disposizione il voto per costringerlo a rispettare la mia volontà o per sostituire chi è stato corrotto. Inoltre la corruzione è un reato e viene punito. Questo, sempre in teoria, dovrebbe limitare al minimo la corruzione. In pratica non la scalfisce nemmeno.
Innanzitutto perché io posso votare solo una volta ogni cinque anni. Quindi non solo non posso esercitare direttamente il diritto di governare, ma non ho nemmeno un controllo diretto e continuo su chi è incaricato di governare. Se per cinque anni il popolo non può far niente nel caso in cui i propri governanti lo tradiscano il potere di controllo è molto aleatorio, in cinque anni possono accadere molte cose. Inoltre non è detto che io venga a sapere della corruzione di un deputato. Se fossi io a governare conoscerei il modo in cui lo faccio ma se a farlo è qualcun altro io non posso sapere con sicurezza cosa sta facendo realmente e può darsi che quando me ne accorgerò, se me ne accorgerò, sarà troppo tardi. Ma anche ammettendo che la cosiddetta “arma del voto” sia efficace nel controllare gli eletti, anche ammettendo che io venga a conoscenza del mancato rispetto della mia volontà e che alla successiva elezione io decida di non rinnovare il mandato a questi, non è detto che ciò sia effettivamente un deterrente. Un parlamentare potrebbe preferire farsi corrompere piuttosto che essere rieletto. E considerando gli interessi che spesso sono in gioco, e quindi l'alto prezzo dei corrotti, è questa un'ipotesi del tutto plausibile. Egli cercherà di non essere scoperto, ma se verrà scoperto, pazienza, avrà una bella cifra in cambio! Una cosa per cui alcuni potrebbero pensare valga la pena di rischiare la carriera politica.
Anche l'obiezione secondo cui la corruzione è reato è facile da smontare. In primo luogo perché la legge può essere aggirata e questo in particolare per casi in cui è molto difficile dimostrare che il fatto sia realmente avvenuto. Se un tizio paga in nero un deputato diventa molto difficile dimostrare che la transazione sia effettivamente avvenuta, anche perché possono essere corrotti, inoltre, coloro che dovrebbero indagare sul caso, poliziotti e magistrati.
In secondo luogo in certi casi di corruzione la legge non può far nulla semplicemente perché non li considera reato. Esiste una corruzione legalizzata. Le donazioni ai partiti politici avvengono quotidianamente e sono perfettamente legali. Se la donazione è abbastanza ingente, il partito politico in questione si sentirà indotto a non contrastare il proprio donatore che gli assicura un rifornimento continuo e ingente di denaro attraverso cui il partito può svolgere la propria attività (come fare campagna politica e quindi guadagnare voti e quindi vincere le elezioni). Questa di fatto è corruzione anche se non c'è nulla di illegale in questa pratica. È persino alla luce del sole. Negli Stati Uniti, paese in cui i candidati alla presidenza spendono cifre strabilianti durante la campagna i finanziatori e l'entità del finanziamento sono conosciuti da tutti e ampiamente diffusi dai giornali.
È ovvio che se un candidato finanziato dalla lobby del petrolio vince le elezioni, questi sarà indotto, da presidente, ad incrementare l'utilizzo di questo combustibile o quantomeno a non ridurlo, anche se chi lo ha votato può essere contrario.
Un altro modo per indurre un eletto a tradire il mandato è il ricatto. Una lobby può avvalersi di mille modi per ricattarlo. Può fare in modo che una sua vicenda privata imbarazzante venga resa pubblica per costringerlo alle dimissioni, oppure può influenzare il partito di cui fa parte che sarà costretto a non ricandidarlo, oppure può aprire una campagna stampa denigratoria nei suoi confronti che gli faccia perdere consenso. Tutti questi metodi sono ampiamente utilizzati nelle nostre “democrazie”.
Infine, nel caso che né la corruzione, né il ricatto si rivelino efficaci, il che non accade molto spesso, è possibile semplicemente rendere innocuo il deputato in questione. E cioè corrompendone o ricattandone altri. Così si può fare in modo che tutte le sue proposte vengano bocciate o accantonate e nemmeno prese in esame e quindi in sostanza eliminate. Questo è possibile farlo assicurandosi il controllo di politici in posti chiave del parlamento o di qualsiasi assemblea legislativa. È possibile, dunque, rallentare o bloccare i lavori dell'assemblea per quanto riguarda proposte di legge che non si vuole far passare.
Nei paesi capitalistici dove esistono forti interessi economici da parte di grandi compagnie internazionali questi tre strumenti sono ampiamente utilizzati. In un sistema sociale basato sul profitto privato e fortemente competitivo ognuno farà di tutto per aumentare i propri profitti e per avere la meglio sugli altri competitori. Soprattutto se un tale sistema è esteso a livello globale e dove quindi i guadagni (e le perdite) sono impressionanti.
Ma esiste tuttavia un altro modo per mandare all'aria la democrazia per delega e farla fallire così come in teoria sembra funzionare.
Ci sono due strategie di azione per chi volesse farlo: una è quella di assicurarsi il controllo sull'eletto, ed abbiamo visto come. Ma c'è un'altra strategia che consiste nel controllare chi elegge. Il popolo.
In un sistema capitalistico i grandi attori economici possiedono non solo un immenso capitale e un'immensa capacità di comprare qualunque cosa e qualunque persona, ma anche, conseguentemente, un immenso potere.
Il trucco sta quindi nell'assicurarsi il controllo di mezzi che sono in grado di esercitare un'influenza su un numero di persone elevatissimo, milioni, miliardi persino. Tali strumenti sono di due tipi: di natura ideologica (mezzi di comunicazione come televisioni o giornali) e di natura economico-finanziaria (grandi istituzioni economiche nazionali e internazionali e l'accesso a particolari strumenti della finanza).
Per quanto riguarda il primo tipo, che chiameremo mezzi di persuasione collettiva,
è noto a tutti come i grandi gruppi economici si accaparrino il controllo di emittenti televisive o di organi della stampa. In questo modo essi possono condizionare pesantemente quella che è la percezione della realtà degli elettori. Quasi sempre i più grandi e importanti mezzi di comunicazione di una nazione, quelli che si assicurano un pubblico formato dalla quasi totalità degli elettori, sono controllati da poche grandi famiglie.
Accanto all'esaltazione della democrazia nei nostri paesi vige l'esaltazione della “libertà di stampa”. Anche la seconda, come la prima, è in realtà inesistente. È abbastanza ingenuo pensare che i giornalisti possano scrivere contro gli interessi di chi paga loro lo stipendio. È chiaro che qualora qualcuno lo facesse questi smetterebbe immediatamente di lavorare per quel dato giornale e faticherebbe alquanto a trovarne un altro che voglia rischiare di avere a che fare con quel giornalista scomodo. Sfido a trovare un giornalista che abbia mai scritto qualcosa di critico contro il padrone del giornale per cui scrive. Se c'è stato, oggi non lavora più per quel giornale.
Gli interessi delle grandi famiglie che possiedono i mezzi di comunicazione sono tutti legati, quindi sono gli stessi.
Non solo, ma esistono lobby che pure non avendo la proprietà di certi mezzi di comunicazione, ne condizionano lo stesso l'operato. Questi, così come possono influenzare fortemente la carriera di questo o di quel politico, altrettanto possono fare con questo o con quel giornalista, con questo o con quel direttore di giornale. Tutto ciò dovrebbe convincerci che la tanto sbandierata “libertà di stampa” dei paesi capitalistici non è esistita in nessun altro posto che non sia il mondo delle idee.
È facile comprendere che se di fatto la libertà di stampa non esiste e se questi mezzi di comunicazione raggiungono milioni di persone, dicono loro cosa sarebbe vero e cosa sarebbe falso, cosa sarebbe importante e cosa no, ne condizionano, quindi, la percezione della realtà e ne formano il sistema assiologico di riferimento; se, in altre parole, sono in grado di manipolare la pubblica opinione e coloro che vanno a votare, sono altresì in grado di manipolare la politica e il governo che essi scelgono o credono di scegliere.
Questo per quanto riguarda i mezzi di persuasione collettiva, esistono però anche dei mezzi di coercizione economica collettiva, che permettono di costringere le persone ad agire in un certo modo facendo leva sul sistema economico.
Praticamente tutti noi viviamo in un sistema di coercizione economico perché esistono delle caratteristiche di questo sistema che costringono gli attori economici ad agire in un certo modo anziché in un altro. Ad esempio un'azienda in un'economia di mercato come la nostra sarà costretta ad alzare costantemente la produttività per aumentare i propri profitti e quindi restare sul mercato. Quindi deve organizzare in un certo modo la propria produzione, altrimenti viene tagliata fuori. Un lavoratore per lavorare deve sottostare a quelle che sono le condizioni del mercato, sottostare a determinati turni, a una determinata paga ed eseguire determinate mansioni e non altre; ognuno deve stare nel ruolo che gli è assegnato e non può travalicarlo. Un imprenditore non potrà abbassare la produttività della propria azienda e un lavoratore non potrà scegliere la politica aziendale.
Quanto detto fa parte delle condizioni di coercizione strutturali, cioè che riguardano la struttura stessa del sistema economico e senza le quali esso non potrebbe esistere. Poi ci sono però dei mezzi di coercizione che sono l'effetto di questo sistema, che ne sono generate dalla dinamica che esso produce. Ed è su questi che ci soffermeremo.
I mezzi economici di coercizione collettiva sono appunto un effetto di questo sistema. Essi consistono in istituzioni e meccanismi di mercato che costringono un gruppo di individui molto esteso (fino a una nazione o anche più) a comportarsi in un determinato modo.
Un esempio è il Fondo Monetario Internazionale. Esso ha il potere di elargire ingenti finanziamenti e questo lo mette in condizione di influenzare determinate politiche invece di altre. Il FMI impone nei paesi in via di sviluppo la liberalizzazione totale dei mercati. Ciò rende le imprese locali incapaci di sopravvivere perché si trovano a competere con soggetti economici molto più grandi e potenti. Se al contrario i mercati interni fossero protetti l'economia del paese potrebbe svilupparsi e rafforzarsi. Ma il Fondo Monetario avendo il potere di concedere o ritirare finanziamenti può imporre a quei paesi e ai loro governi di non seguire questa strada.
Oppure c'è il caso dei grandi speculatori internazionali che avendo ingenti capitali a disposizione possono produrre gravi crisi economiche decidendo di investire o disinvestire in un determinato settore. Anche questo è un enorme potere ricattatorio.
Mettersi contro certe lobby è estremamente pericoloso, anche per uno stato. Potrebbe voler dire la crisi per la propria industria nazionale, l'isolamento sui mercati internazionali, il mancato rifinanziamento del debito pubblico e, in definitiva, la banca rotta.
Per quale motivo un politico dovrebbe correre simili rischi? Egli ha di fronte due possibilità: da una parte mettersi contro gli interessi finanziari mondiali, affrontare i media e sperare, pur avendo stampa e televisioni contro (che abbiamo visto da chi sono controllati) di riuscire a convincere l'elettorato. Ammesso che ci riesca dopo dovrebbe impedire la catastrofe nazionale, della quale, egli sarebbe considerato il responsabile.
Molto più facile adeguarsi a quelli che sono interessi più forti di lui e fingere di credere ai mezzi di comunicazione che evitano di parlarne (o che ne parlano in modo sbagliato).
Già l'immagine dei politici non è molto alta presso gli elettori. Perché mai, quindi, essi dovrebbero metterla ancora più a rischio? Perché dovrebbero essere disposti a giocarsi la carriera e il prestigio personale per un'impresa non solo dall'esito quantomeno incerto, ma il cui merito pochi sarebbero disposti a riconoscere?
Tutto ciò ci fa capire che esistono poteri ben più grandi e influenti del voto. Di un voto che può solo decidere quale coalizione debba governare, ma non come debba farlo.
Abbiamo omesso di dire che ci sono anche un'altra serie di mezzi per influenzare il popolo. Essi sono i mezzi di dissuasione collettiva e servono a evitare che il popolo compia determinate azioni che possano mettere in crisi il potere costituito. Ad esempio la polizia, l'esercito oppure le carceri o il diritto penale. In particolare, proteggono la proprietà e chi la possiede ed impediscono rivolte o rivoluzioni.
In un regime liberale il loro utilizzo viene limitato agli interventi indispensabili. Sono l'estrema ratio del sistema capitalistico, l'ultima spiaggia. Il loro utilizzo, su larga scala, cioè non contro semplici individui ma contro gruppi ampi e organizzati, presuppone che esista una crisi del capitalismo a uno stadio già molto avanzato e che quindi il popolo abbia acquisito coscienza, che non creda ai media e alla propaganda e che sia abbastanza organizzato per produrre rivolte. A questo stadio noi non siamo ancora arrivati. Forse in passato, c'è stato un periodo in cui si era molto vicini a questo, ma non oggi.
In realtà si fa leva molto di più sui mezzi di persuasione e di coercizione economica che su quelli di dissuasione. Si preferisce condizionare il popolo ideologicamente ed economicamente piuttosto che attraverso l'utilizzo della forza.
Ciò non toglie che esistano delle situazioni in cui questi mezzi vengono usati dai nostri stati, se non all'interno, all'esterno.
Qui arriviamo ad un nuovo capitolo che dimostra come i nostri stati “democratici” commettano crimini e siano responsabili di violenze contro intere popolazioni. Ma di questo ce ne occuperemo in un'altra occasione.
Ci basti qui sapere che la democrazia non esiste in quei paesi che finora abbiamo creduto avessero adottato questo sistema politico. L'elezione a suffragio universale non assicura la democrazia, perché essa implicherebbe il governo del popolo e non la semplice elezione di chi governa.
Inoltre esistono forti gruppi di potere che condizionano l'operato del governo e le opinioni e i comportamenti di chi lo elegge.
La vera ed effettiva sovranità non appartiene né al popolo, come sta scritto nelle nostre costituzioni, né ai politici, come un'ampia e fuorviante pubblicistica di un certo giornalismo ci indurrebbe a credere, bensì a coloro che detengono il vero potere, non il voto né il seggio, ma il capitale, e che in sostanza sono in grado di controllare qualsiasi settore della vita pubblica (e privata).
Le nostre istituzioni, più che alla democrazia assomigliano a quelle della Roma di età repubblicana, dove il potere era appannaggio dell'aristocrazia e il popolo aveva la facoltà di esercitare una forma, tenue, di pressione attraverso istituzioni come il tribunato della plebe.
Non una democrazia, quindi, ma un'oligarchia “temperata”.
Fino ad alcuni decenni fa la facoltà che il popolo aveva di intervenire, in effetti, pur non essendo democratica, non era neanche puramente simbolica e il volere popolare contava effettivamente qualcosa.
Tuttavia negli ultimi anni si è avuta una deriva, come nell'Antica Roma, da un sistema repubblicano (dove l'aristocrazia dominava lo stesso ma il suo potere era in qualche misura contenuto) a un sistema propriamente imperiale, in cui le classi dominanti dispongono sempre più di un potere assoluto. Queste classi al potere, è bene ribadirlo, non sono i politici che ufficialmente esercitano le funzioni amministrative all'interno di istituzioni statali. Ma i detentori dei mezzi economici attraverso i quali condizionano l'azione politica.
Ma perché allora si fa tutto questo gran parlare di democrazia come se essa fosse uno stato di cose reali e non da conquistare?
Ciò è dovuto a un vecchio retaggio culturale e a precise condizioni storiche che cominciano dalla rivoluzione francese e arrivano fino ad oggi.
All'epoca della Francia rivoluzionaria era già una notevole innovazione l'avere introdotto la possibilità per il popolo di eleggere chi governa. In una situazione in cui la Francia era braccata dalle altre monarchie europee, essa aveva tutt'altri problemi, in primis la difesa del suolo nazionale e non poteva permettersi di far evolvere ulteriormente le proprie istituzioni col rischio di indebolirle ulteriormente.
In seguito con la crescita del potere della borghesia, quest'ultima vedeva nel nuovo sistema politico liberale, e non democratico, un mezzo efficace per consolidare la propria egemonia e quindi era interessata a conservarlo piuttosto che a migliorarlo o a superarlo.
Nel secolo Ventesimo, poi, anche il semplice diritto di voto per tutti non era affatto acquisito e numerosi partiti progressisti si attivarono per ottenere il suffragio universale. Una cosa del genere era vista, allora, e in effetti lo era, come un'innovazione storica, di portata straordinaria, e i suoi sostenitori ne cantarono le lodi, esagerando non poco, fino a rappresentarla come l'unico strumento portatore della vera democrazia.
Così, quando il suffragio universale arrivò, e quando anche i conservatori si convinsero ad adottarlo, tutti erano ormai convinti che si trattava della democrazia, e che i loro stati erano diventati a tutti gli effetti democratici.
Non ci furono critiche significative all'utilizzo di questa parola nemmeno in seguito. I partiti al governo mettevano in risalto il fatto che il popolo poteva scegliere “democraticamente” chi dovesse governare e che quindi loro erano pienamente legittimati a farlo. Gli oppositori, dal canto loro, quando volevano contestare qualcosa si appellavano allo “spirito” democratico così come veniva inteso allora, cioè come era rappresentato dai codici e dalle costituzioni. Un atto di un determinato governo poteva essere non democratico, ma non perché avveniva in un contesto non democratico, bensì solo perché quel governo non aveva rispettato le regole della cosiddetta democrazia in vigore.
Tutto il dibattito, tra sostenitori dei governi e dei gruppi dominanti e oppositori si esauriva all'interno delle istituzioni vigenti e questo perché le istituzioni vigenti erano democratiche, quindi non c'era nulla da migliorare se non il modo di usarle.
La situazione internazionale poi consolidò questo punto di vista. L'ascesa di regimi, nel corso di tutto il Novecento, palesemente tirannici, in particolare del fascismo e del nazismo, spinse i “democratici” a cimentarsi nel tentativo di mostrare la superiorità (indubitabile) dei loro sistemi su quelli di stampo fascista. Effettivamente la storia ha dato loro ragione, però, come i loro predecessori, esagerarono alcuni aspetti positivi e ne misero in ombra altri negativi. A cospetto del terribile regime nazista, le istituzioni liberali brillavano come un faro nella notte della civiltà e potevano, senza paura di smentita, fregiarsi dell'appellativo “democratiche”, sicure di non perderci nel confronto.
Dopo il conflitto mondiale, con l'inizio della Guerra Fredda, le potenze occidentali con la loro propaganda erano tutte tese a sostenere il diritto di scelta del popolo e dipingevano il proprio sistema come l'unico in cui fosse in vigore la democrazia, descrivendo invece i paesi del “socialismo reale” come delle tirannie brutali.
Anche qui i “democratici” avevano ragione solo in parte, i paesi del cosiddetto blocco socialista avevano anch'essi i loro vantaggi e i paesi occidentali non erano così democratici come si voleva far credere.
Nel corso degli anni Sessanta e Settanta, in Occidente, si diffuse un'ondata di sommosse popolari, di mutamenti culturali e ci fu un'avanzata decisiva dei movimenti popolari che preoccupò non poco la classe al potere. Questo alimentò ulteriori illusioni circa la natura dei nostri sistemi. Se è permessa una tale forma di dissenso, se al popolo è permesso intervenire nelle questioni politiche in un modo che finora non aveva mai avuto, non è questa forse la prova che la democrazia esiste ed è perfettamente funzionante?
La caduta del Muro di Berlino e dell'Unione Sovietica, poi, doveva dimostrare al mondo l'effettiva superiorità del sistema di governo occidentale, l'unico che riconoscesse diritti politici al popolo, e l'unico ad essere sopravvissuto alle “dure repliche” della storia.
Oggi però non esiste una situazione internazionale che ci debba tenere avvinti a questa errata opinione. I governi occidentali, nel difendere le proprie guerre, hanno tentato di contrapporre oscuri regimi religiosi alla “democrazia” ancora una volta, operazione però di cui è facile mostrare la malafede e l'inganno, essendo quei regimi nient'altro che il risultato del modo di operare delle nostre “democrazie” su scala internazionale, le quali non hanno esitato ad armare tirannie anche peggiori di quelle contro cui si scagliano.
L'involuzione del sistema politico, dovuta alla crescente internazionalizzazione del capitale e al grande potere delle lobby di pressione, è palese a tutti. Gli elettori, il cosiddetto “sale della democrazia”, sono sfiduciati, non vanno più a votare come prima e quando lo fanno votano “il male minore” cioè chi non vorrebbero votare. I governi prendo decisioni sempre più impopolari, e persino antipopolari, per garantire il proprio servizio ai loro veri padroni che restano nascosti nell'ombra. Le guerre ne sono solo uno dei tanti, e tuttavia uno dei più tragici, esempi. Quasi sempre incontrano prima o poi lo scontento popolare dei paesi che le hanno provocate, per interessi tutt'altro che popolari, eppure non mancano di continuare testardamente a sostenerle.
Le crisi economiche internazionali sembrano dei disastri provocati da potenze occulte cui i governi non vogliono o non possono porre rimedio e in cui a farne le spesse è quello che le nostre costituzioni chiamano sovrano, il popolo.
Si è mai visto un sovrano tanto sfruttato, ingannato, affamato, disoccupato, sottopagato e incapace di liberarsi dei propri ministri incompetenti o corrotti? Un sovrano il cui volere si rivela sempre essere stato tradito dai propri funzionari, senza che questi mai ci rimettano la testa se non per far posto ad altri peggiori? Un sovrano, soprattutto, che non governa e la cui parola non conta nulla, un sovrano costantemente ricattato e ingannato da una cricca che siede sul suo trono e che egli non ha nemmeno mai visto?
Eppure ancora oggi si continua a credere o a fingere di credere che questo sovrano conti qualcosa. Si è capaci dei cavilli più sofisticati per mostrare quale sottigliezza giuridica sarebbe più appropriata a quella che si crede essere la democrazia. Se c'è qualcosa di palesemente non democratico ciò è attribuito a una mancanza degli uomini, mai delle istituzioni e del sistema che le perpetua, eppure questi ultimi sono sempre gli stessi, mentre gli uomini cambiano sempre.
Liberiamoci quindi una volta per tutte di questa retorica falsa e ipocrita e guardiamo in faccia alla realtà. Giungeremmo così a tre specie di conclusioni:

1. La democrazia non esiste e non è mai esistita.
2. “Democrazia diretta” è una tautologia e “democrazia indiretta” un ossimoro. La democrazia o è diretta o non è
3. La democrazia non esiste ancora ma è possibile evolvere verso di essa se comprendiamo che il sistema ora in vigore è tutto meno che democratico.

giovedì 18 marzo 2010

La religione del voto


Poiché vedo che il mondo dei blogs italiani (quelli orientati a sinistra) è diviso tra chi invita tutti a votare e chi invece sostiene che il voto è inutile e bisogna restarsene a casa, vorrei intervenire un attimo sulla questione.
Da un lato ci sono i "patrioti del voto a sinistra", chi invita a votare ad ogni costo, e votare contro Berlusconi, non importa chi, basta che non sia la destra o un suo alleato. Questi bloggers danno un significato molto importante a questo voto, per loro se vince Berlusconi è una catastrofe talmente grande che chiunque sarebbe migliore di lui.
Lasciatemi subito dire che io non sono d'accordo con loro. Lo dico da antiberlusconiano, sia ben chiaro. Ma non penso che il male sia Berlusconi, penso che egli sia solo una parte, e neanche la parte più grande, del male. Non penso che chiunque possa andare meglio di Berlusconi. Non penso che Pd e Italia dei Valori sarebbero il cosiddetto "male minore". Se facciamo attenzione a quelli che sono i temi fondamentali (lavoro, economia, politica estera, ecc.) i due schieramenti sono abbastanza allineati. Se guardiamo alle leggi di precarizzazione del lavoro, alle guerre cui l'Italia ha preso parte, ai tagli alla sanità e alla scuola, vediamo che la responsabilità può essere divisa equamente tra entrambe le coalizioni. Ne ho in già parlato in passato e credo che ormai su questo siano d'accordo tutti, perciò non mi dilungherò ulteriormente su questo punto.
Stando così le cose mi sembra ingenuo pensare che il diavolo sia Berlusconi portatore da solo di tutte le piaghe possibili per il Paese. Come ho già avuto modo di spiegare esistono lobby fortissime che condizionano l'operato di tutti i governi, siano essi di centrodestra o di centrosinistra. Di conseguenza il problema principale non è evitare che vinca Berlusconi, ma evitare che queste lobby continuino ad influenzare la politica italiana come quella di qualunque altro paese. Riuscire in una simile impresa purtroppo non si può con una semplice croce una volta ogni cinque anni. Il voto, checché ne dicano gli apologeti di questa presunta democrazia, non è in grado di assicurare al popolo l'obbedienza della propria classe dirigente. E' al massimo in grado di assicurargli quali individui della classe dirigente vadano a governare, ma non il modo in cui decidono di farlo.
Per cui questo appello drammatico "o votare o la morte" appare abbastanza ridicolo alla luce di questi fatti. Non sto dicendo che non bisogna votare. Voglio solo invitare i fautori del voto a ridimensionare un po' le loro aspettative circa le elezioni e la drammatizzazione che fanno di una croce su un simbolo.
Dall'altro lato però ci sono gli sfiduciati, i "pessimisti cosmici" quelli per cui nemmeno un Messia potrebbe cambiare le cose. Secondo questi non bisogna andare a votare e così facendo credono di aver risolto tutti i loro problemi. Ne fanno un punto d'onore: pensano che l'astensione sia un dispetto che si fa ai politici, e non si accorgono, infantilmente, che a questi ultimi non interessa minimamente quanti sono gli astenuti, ma soltanto vincere le elezioni. Fossero anche (per assurdo) in dieci a votare, se sei votano per il partito x, quest'ultimo si riterrà più che soddisfatto della vittoria e governerà allo stesso modo che se fossero stati in milioni a votare.
E' veramente sciocco pensare che standosene a casa si possa dare una lezione a chi ci sta antipatico. Se è vero che votare non cambia niente, come loro sostengono, figuriamoci non votare!
Inoltre questo atteggiamento è di un qualunquismo davvero nocivo. Se non si crede nelle elezioni (opinione legittima) ci si dovrebbe attivare e darsi da fare per cercare di compensare questa mancanza. Ci si potrebbe impegnare direttamente in politica oppure attraverso la militanza in movimenti, associazioni o nelle lotte per determinati diritti. E invece in genere i "pessimisti cosmici" non solo non credono nel voto, ma non credono in qualunque forma di partecipazione politica. Un comodo modo per giustificare il loro totale immobilismo. Se fosse stato per loro non ci sarebbe mai stata nessuna presa della Bastiglia, e vivremmo ancora sotto la monarchia.
E' mai possibile che qualsiasi strada sia impercorribile per cercare di cambiare le cose? Secondo costoro la risposta è affermativa. Sono in numero crescente, stanno diventando talmente numerosi che presto sarà davvero impossibile fare qualcosa. Di fronte a loro qualsiasi attivista, anche il più generoso dovrebbe arrendersi, anche l'oratore più abile non riuscirebbe a intaccare la granitica certezza che costoro nutrono nell'immobilità dell'universo.

Io non voglio convincere a votare o ad astenersi. Voglio solo invitare ognuno a giocarsi le proprie carte nel modo più proficuo possibile. I "pro-voto" la smettano con la loro ossessione per un'unica persona. Guardino quelli che sono i candidati e le forze in campo e scelgano non "il meno peggio" ma chi abbia il requisito minimo per poter cambiare qualcosa: essere diverso dagli altri.
Gli "anti-voto" sono convinti dell'inutilità delle elezioni? bene. Non si diano però per vinti. Cerchino qualche forma alternativa di partecipazione.
Purtroppo in Italia c'è una sorta di religione del voto che vede due schieramenti l'uno contro l'altro armati: da una parte quelli che sono convinti dell'imprescindibilità e della assoluta necessità del voto come fosse un bisogno fisiologico, e reputano coloro che si astengono colpevoli di chissà quale immondo peccato, responsabili di chissà quali tragedie. Dall'altra parte ci sono invece quelli per cui, al contrario, votare è un'offesa alla dignità umana e all'onore personale. Mettere una croce su una scheda è per loro chissà quale vergognosa infamia, chissà quale complicità con i peggiori criminali.
Questo perché entrambi danno troppa importanza al voto. Entrambi attribuiscono significati a questa attività che in realtà essa non possiede. Ciò è dovuto alla convinzione che gli eletti siano i veri padroni. Convinzione del tutto errata, perché essi non sono che delle marionette mosse da interessi di portata ben più rilevante e che noi non vediamo accecati dalla nostra furia pro o anti elettorale.
Penso che prima di partire in quarta con le nostre crociate dovremmo effettivamente renderci conto di ciò con cui abbiamo a che fare: che cos'è la democrazia? è vero che i nostri stati sono democratici? chi è che governa realmente lo stato? che potere abbiamo di influenzare la sua azione? A queste domande non sappiamo rispondere se non con stereotipi o luoghi comuni (tipico rifugio di chi non sa ma vorrebbe dare a intendere di sapere). Ed è per questo che prossimamente Eresia rossa si occuperà appunto di queste questioni.

P.S. Un po' di tempo fa invitai anch'io al voto. Ma lo feci in un modo un po' diverso, selettivo, con un criterio, condivisibile o meno. Ne parlai in questo post.



lunedì 15 marzo 2010

C'era una volta l'articolo 18

Il Senato ha approvato la modifica e, sostanzialmente, la vanificazione dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori che stabilisce (stabiliva!) il reintegro per i lavoratori licenziati senza giusta causa. È un'operazione che è durata anni. Prima, sette anni fa, hanno cominciato ad abolirlo per le aziende sotto i quindici dipendenti, un duro colpo per il mondo del lavoro italiano, dato che in Italia ci sono molte piccole aziende, sponsorizzato oltre che dalla destra anche dai “progressisti” che oggi siedono tra le file del Pd e dell'IdV e che allora facevano parte di Ds e Margherita.
Questo attacco a uno dei diritti fondamentali del lavoro si è poi concretizzato definitivamente con quest'ultima norma (della cui portata eversiva questa volta anche la pseudo-opposizione sembra essersi resa conto, ma tardivamente) che introduce l'arbitrato. In caso di controversia tra datore e lavoratore ci si potrà rivolgere a un arbitro e non a un giudice, che deciderà “secondo equità” dunque in modo del tutto indipendente dal nostro diritto del lavoro. Non solo, ma sarà possibile stabilire il ricorso all'arbitrato in caso di controversia fin dal momento della stipula del contratto, che vede il lavoratore in una condizione di debolezza. Questo, in definitiva, introducendo la possibilità di un “accordo” (si fa per dire) in via extra-legale di fatto annulla quella che era l'importante innovazione dell'articolo 18, cioè di evitare il licenziamento senza giusta causa, come già avviene per le aziende sotto i 15 dipendenti in cui il datore può cavarsela con un semplice indennizzo.
La Cgil è stato l'unico sindacato confederale ad opporsi a questa aggressione allo Statuto dei lavoratori, come fu l'unico sette anni fa quando i lavoratori scesero in massa a protestare contro il primo tentativo delle oligarchie di scardinare uno dei diritti fondamentali dei lavoratori.
La storia adesso si ripete, ma in modo ancora più drammatico, questa volta. Cisl e Uil sembrano non aver nulla da obiettare alle modifiche operate dalla maggioranza, se non per qualche aspetto di forma. Il segretario della Cisl Bonanni ha detto “Noi abbiamo ottenuto che tutto debba essere rinviato alla contrattazione e faremo in modo che il ricorso all'arbitro sia sempre un atto volontario del lavoratore” eh sì, come no? Se al momento di firmare il contratto ti dicono di accettare la clausola che stabilisce il ricorso all'arbitrato tu che fai? Accetti volontariamente di restare disoccupato e di finire volontariamente sul marciapiede?
Queste invece le parole del segretario della Uil Angeletti: “Negli anni scorsi c'era l'intenzione di abrogare l'articolo 18, ora c'è quella di trasformare il reintegro in rimborso o in una penale ai lavoratori, quindi la questione è diversa” Che culo! Adesso sì che possiamo stare tranquilli! Angeletti questo vuol dire proprio abolirlo l'articolo 18, se non di nome, di fatto, perché vuol dire annullare la possibilità di reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa.
Ora io mi chiedo, ma che razza di sindacalisti sono questi? Ma come possono questi signori guardarsi allo specchio? C'è stata mai una volta che Cisl e Uil abbiano saputo dire un no chiaro e netto alle “innovazioni” conservatrici che da una ventina d'anni si stanno introducendo in Italia sulla pelle dei lavoratori? Un sindacalista dovrebbe difendere i lavoratori, invece questi sembrano dei delegati di Confindustria, Bonanni è impegnato a replicare alla Cgil, invece che a Confindustria e al governo, ma non glielo ha mai detto nessuno che la tessera della Cisl non la pagano né la Marcegaglia né Sacconi, ma i lavoratori? Le condizioni in cui versa il mondo del lavoro sono note ormai a tutti, precariato diffuso, bassi salari, poca sicurezza, licenziamenti facili. E tutto questo anche grazie a dei sindacati che fanno il gioco degli industriali.
Vorrei che tutti prendessero coscienza di questi fatti e cosa si sta tramando alle nostre spalle. Vedo che molti hanno snobbato questo argomento. Quando sette anni fa iniziò la prima fase della guerra contro l'articolo 18, milioni di lavoratori scesero in piazza, se ne parlò su tv e giornali, ci furono dibattiti accesi. Oggi niente, qualche articoletto, ma tutti sembrano interessati ad altro.

P.S. Marco Travaglio, qualche volta potresti parlare anche dei temi del lavoro sul tuo blog, che invece è dedicato esclusivamente alle vicende giudiziarie di Berlusconi.


Fonti:





venerdì 12 marzo 2010

Il Mondo secondo il Bilderberg

Poiché vedo che negli altri blogs si insiste ad occuparsi delle talpe che infestano il giardino di casa, mentre un uragano sta per travolgere la città, io preferirei pensare prima all'uragano, che alle talpe.
Per chi non avesse capito la metafora le talpe sono le vicende e i battibecchi provincialotti di casa nostra, l'ammissione o meno di una lista alle regionali, il candidato tal dei tali in odor di mafia, i massaggi di Bertolaso e così via. Posso capire che queste cose possano riscuotere un certo interesse nel pubblico. Purtroppo però i giornali e le televisioni, e anche, ahimè, la maggior parte dei bloggers, non pensano ad altro che a queste faccende secondarie, nel pieno di un progetto eversivo mondiale, per stravolgere la nostra società, non quella italiana (sia chiaro nel caso che alcuni pensassero io stia parlando del regime berlusconiano) ma quella del mondo intero. Tutto questo avviene sotto i nostri occhi, mentre continuiamo a guardare il dito, invece di guardare la luna. Lo dico senza alcuna intenzione polemica. Per un attimo smettiamola di occuparci di Berlusconi e degli affari del piccolo orticello di casa nostra. Ormai lo abbiamo capito che è un mafioso, massone, delinquente, corruttore e quant'altro e chi non lo ha ancora capito non lo capirà mai. Quindi è inutile. Cerchiamo di concentrarci almeno una volta su dei fatti di portata internazionale che sono ben più importanti e determinanti di quanto accade a Palazzo Chigi o ad Arcore e purtroppo assai meno conosciuti.
Il pericolo per la democrazia c'è, o meglio, non per la democrazia che non esiste, ma per quella sorta di tribunato della plebe che fino a qualche anno fa permetteva al popolo di contare qualcosa. Questo pericolo, però, non viene dal governo italiano, quest'ultimo è una mera pedina e abbastanza secondaria del piano mondiale volto a cancellare i nostri diritti.

Fatta questa premessa verrei ora al merito della questione. Occupati come siamo nelle vicende di casa nostra forse molti di noi non si sono accorti di quanto sta succedendo in Grecia se non, al più, per la cronaca (bugiarda) di giornali e televisioni. Si è parlato della crisi del debito dello stato ellenico, paventando persino un collasso. In realtà questo grande pericolo per il debito greco non solo è inesistente, ma artatamente diffuso dall'Unione Europea e dai grandi speculatori internazionali. La situazione del debito greco non è più tragica di quella che c'era fino a un anno fa. Tuttavia questo allarme ha creato le condizioni perché si verificassero due eventi: da una parte gli interventi come il taglio della spesa pubblica che il governo della penisola ha messo in atto come contromisura per questo male immaginario, quindi l'aumento delle tasse sui prodotti di largo consumo e un taglio pesante degli stipendi; dall'altro enormi affari per gli speculatori.
Questi ultimi li chiamano Credit Default Swap e sono dei prodotti derivati che consistono in una sorta di assicurazione contro il mancato pagamento dei debiti. Più o meno quello che avviene con una normale assicurazione, solo che qui sono in gioco migliaia di miliardi. Così gli investitori, una volta diffusa la notizia dell'imminente collasso del debito in Grecia, si sono gettati su questi swap. È un po' come se viveste in un territorio sismico e venisse da voi un geologo a diffondere la notizia che presto ci sarà un terremoto dove abitate. Voi, e tutti gli altri abitanti, vi fareste l'assicurazione per proteggervi da un crollo della vostra abitazione, tuttavia il vostro assicuratore sa che non ci sarà nessun terremoto, per cui sareste solo voi a pagare e non l'assicurazione.
Chi ci guadagna in tutto questo? L'assicurazione. Chi ci perde? Gli assicurati.
In Grecia sono scesi in piazza attivisti, sindacati, partiti di sinistra, a mobilitarsi contro questa truffa che li costringerà a pagare un prezzo molto alto.
È proprio nella culla della civiltà occidentale che si gioca una partita determinante. I giocatori in campo sono da una parte le grandi istituzioni economiche (FMI in testa) e le fortissime lobby di pressione (il Gruppo Bilderberg), dall'altro i vari governi che obbediscono ciecamente alle direttive dei primi.
Lo scorso maggio uno degli attori fondamentali di questa partita, il Gruppo Bildergerg si riuniva, guarda caso, proprio in Grecia, in modo molto discreto, perfino troppo.
Per chi non lo sapesse alle riunioni del club Bilderberg partecipano tutti i più potenti magnati dell'economia e della finanza, soprattutto banchieri, qualche capo di stato e qualche politico, ma per lo più si tratta dell'elite capitalistica mondiale. Non sono dei semplici forum o conferenze, ma una sorta di comitato selezionatissimo per decidere le strategie da adottare, quali operazioni favorire sui mercati, quali politiche fiscali gli stati debbano adottare, quali riforme vanno bene e quando e in che modo decidere un intervento armato in Medio Oriente. Si tratta di decisioni tutt'altro che superflue.
Le riunioni del Bilderberg vengono tenute segrete, e si cerca di tenere i giornalisti lontano, non lesinando minacce e intimidazioni per i meno ubbidienti.
Lo sa bene Charile Skelton, l'inviato del Guardian che si trovava sul posto proprio per seguire l'attività dell'esclusivissim club dell'aristocrazia mondiale e che ha dovuto subire le sgradevoli, e per nulla cortesi, attenzioni della polizia.
Vi hanno partecipato personaggi come la regina Beatrice d'Oladna, azionista di maggioranza della Royal Dutch Shell, David Rockefeller, della JP Morgan e uno dei fondatori del Bilderberg, il direttore della Deutch Bank Josef Ackermann, Roger Altman ex sottosegretario di Clinton.
Vi erano anche nomi italiani come Romano Prodi, Tommaso Padoa-Schioppa, il governatore Draghi e il direttore di Telecom Franco Bernabé
Presente anche una nutrita delegazione dell'amministrazione Obama.
Lo scopo principale del club Bilderberg è quello di creare un nuovo ordine mondiale con un unico superstato senza nessuna forma di democrazia, comandato dalle grandi istituzioni economiche.
Il tema fondamentale del vertice dello scorso maggio riguardava la situazione economica.
Si può dire che esistano due correnti di pensiero, all'interno del Bilderberg: coloro che vorrebbero una depressione economica prolungata e coloro che invece sono per una crisi intensa ma di breve durata. Tutto questo allo scopo di realizzare il progetto del nuovo ordine che è nei loro piani.
Già si progetta di creare due grandi poli, secondo il giornalista Jim Tucker l'ex Primo Ministro svedese Carl Bilt avrebbe parlato di un grande dipartimento planetario della sanità implementando i poteri dell'OMS e un analogo dipartimento del tesoro, permettendo al Fondo Monetario Internazionale di acquisire nuove funzioni.
Si vorrebbe inoltre creare una banca centrale del Mondo: Jeffrey Garten, ex sottosegretario di Clinton, ha dichiarato: “i leader mondiali dovrebbero iniziare a preparare il terreno per la creazione di una banca centrale globale”.
Tutto questo significherebbe che le scelte economiche, sanitarie e monetarie degli stati sarebbero delegate a questi organismi potentissimi e totalmente indipendenti da un qualsiasi controllo popolare. Questa deriva autoritaria è favorita dallo stesso processo di costituzione dell'Unione Europea, in particolare col Trattato di Lisbona che esautora di fatto i parlamenti nazionali e delega il potere alla Commissione, e che prevede persino la pena di morte in caso di sommossa.
Per riassumere ecco quanto accaduto: il club Bilderberg che progetta di costruire un governo mondiale autoritario e dispotico scatenando una crisi economica senza precedenti si riunisce a maggio in Grecia. Qualche mese dopo scoppia il caso del debito pubblico dello stato ellenico e il governo mette in atto delle austere misure per fare cassa sulla pelle dei cittadini. Nel frattempo il progetto dell'Unione Europea avanza e gli stati nazionali perdono sempre più la loro sovranità e tutto ciò che ad essi è connessa (diritti sociali e civili dei cittadini) a favore della UE.
Queste sono le carte in tavola. Vi renderete tutti conto di come, messe così le cose, la questione sia molto più preoccupante dei processi di Berlusconi e tuttavia non vi si dedica nemmeno la metà dell'attenzione che spendiamo per questi.
Si sta giocando una partita sulle nostre vite, una partita alla quale noi non siamo invitati. C'è bisogno di rompere quell'omertà che aleggia su queste questioni, dobbiamo smetterla di guardare semplicemente all'interno dei nostri confini nazionali e di cominciare a capire come vanno davvero le cose in questo mondo che non è stato creato né da Berlusconi, né da Bersani, né dai candidati del Lazio, ma da gruppi di interesse ben più potenti e tuttavia, non abbastanza conosciuti.
Finché non capiremo quali sono i veri responsabili dei mali che ci affliggono, non riusciremo mai non solo a cacciare un Berlusconi qualunque, ma, cosa ben più importante, a difendere i nostri diritti, le nostre vite, la nostra salute e la nostra dignità, ciò che ci spetta e che ci sta venendo tolto da loschi eppure potentissimi figuri che tramano alle nostre spalle per i loro interessi e contro i nostri.
È arrivata l'ora di svegliarsi e (per usare una metafora platonica) cominciare a guardare in faccia chi proietta le ombre nella caverna in cui siamo rinchiusi.


Fonti:

http://it.wikipedia.org/wiki/Credit_default_swap

http://conflittiestrategie.splinder.com/post/22297873/L’OMBRA+DEL+BILDERBERG+E+DEL

http://www.gennarocarotenuto.it/12599-borsa-greca-seri-draghi-stesse-facce-stesse-razze/

http://it.peacereporter.net/articolo/15810/Grecia,+vertice+del+Bilderberg+Group:+brutta+esperienza+per+l%92inviato+del+Guardian

http://www.altraconsapevolezza.it/?p=90

http://www.altrainformazione.it/wp/2009/06/01/il-piano-del-bilderberg-per-il-2009-rifare-leconomia-globale/

http://www.reset-italia.net/2008/07/26/lisbona-zitta-zitta-avanza/

http://www.maristaurru.com/index.php/Articoli/Bilderberg-in-Grecia-decidono-come-affamarci-in-vista-del-nuovo-ordine-mondiale.html

lunedì 8 marzo 2010

Che fine ha fatto la sinistra?

Tutti sono impegnati in questi giorni a occuparsi delle elezioni regionali, dopo aver parlato delle escort di Berlusconi e dei massaggi erotici di Bertolaso.
In piena crisi economica (mentono quelli che dicono che è finita), una crisi che ha spazzato via come un ciclone tutti i dogmi del liberismo – che negli anni Ottanta e Novanta avrebbe dovuto inaugurare la via di un radioso avvenire – ci si aspetterebbe che coloro che per tutti questi anni hanno proposto queste ricette fallimentari dovessero essere scaraventati via dal piedistallo su cui li aveva posti il vento mutevole (e spesso beffardo) della storia. E invece li ritroviamo ancora in sella a riproporre le stesse ricette di sempre come una litania, magari infarcendole di qualche parola “innovativa” che li faccia sembrare abbastanza “obamiani” per riciclarsi.
Di fronte al catastrofico fallimento delle teorie e delle pratiche politiche della destra (quella destra che dopo la caduta del Muro di Berlino già cantava vittoria e arrivava persino a teorizzare una utopistica “fine della storia”) ci si aspetterebbe una sinistra in ascesa straordinaria, o quantomeno in ripresa, capace di sfruttare quelle “dure repliche della storia”, quelle che qualche anno prima dovevano costringerla alla capitolazione, questa volta, contro i propri avversari.
E invece la ritroviamo in stato comatoso, in una condizione molto peggiore che durante l'epoca thatcheriana.
Il problema, per meglio dire, non è che la sinistra non sia abbastanza efficace nel proporre le proprie idee, o che non riesca a comunicarle, ma che semplicemente ha smesso di proporle e di comunicarle, decretando frettolosamente la propria sconfitta, che sarebbe stata rappresentata simbolicamente dalla caduta del Muro di Berlino, la quale avrebbe dovuto dimostrare ciò che in realtà non dimostrava.
Così, arresisi ad una falsa evidenza, quei dirigenti che un tempo parlavano di lotta di classe e di socialismo, si sono consegnati alla destra, e così facendo a coloro che ne muovono i fili, industriali, banchieri e speculatori.
Illusi da questa propaganda del “nemico alla propria testa” come diceva una vecchia canzone, come dei giornali e delle televisioni dei vecchi avversari (i quali erano quasi increduli di poter finalmente manifestare apertamente e senza infingimenti le loro intenzioni) anche il popolo, i lavoratori, la “base”, l'ossatura di tante lotte e di tante ribellioni, hanno finito per dimenticare le aspirazioni di giustizia ed uguaglianza ed abbandonarsi al sogno del successo individuale e della scalata sociale, sogno che poco più tardi avrebbe dovuto infrangersi contro gli scogli della dura realtà e della storia.
La sinistra, così, ha smesso di essere sinistra, conservandone, nel migliore dei casi, solo il nome (e ormai si tenta di eliminare anche quello, ultimo testimone di un passato scomodo).
Chi avrebbe mai pensato, che i rivoluzionari di un tempo, che issavano la bandiera rossa nelle piazze e cantavano l'internazionale, si sarebbero ritrovati, qualche decennio più tardi, con la tessere di un partito che annovera tra le sue file imprenditori, cattolici fondamentalisti e teorici del lavoro di ispirazione neoliberale?
Chi avrebbe potuto immaginare che coloro che per protestare erano disposti anche ad affrontare i manganelli della polizia, sarebbero stati attirati dal richiamo, un giorno, di “ordine”, “legalità” e “sicurezza” inseguendo un ex magistrato ed ex poliziotto?
Bisogna ammetterlo, la destra e i teorici conservatori sono stati molto abili. Perché hanno saputo trasformare una potenziale sconfitta, in una vittoria. Non hanno avuto ragione, le loro ideologie si sono rivelate nient'altro che delle coperture abbastanza raffazzonate dei loro veri interessi. Ma hanno saputo trasmettere quelle idee al campo avversario, hanno saputo illudere milioni di persone e di ex rivoluzionari.
Guardiamo in faccia la realtà. Tutto quello che ci rimane è un questurino e un comico che si affannano a sputar sentenze contro un unico bersaglio, come se la causa di tutti i mali risiedesse in un unica persona, fosse anche il capo del governo.
Poiché la sedicente sinistra di oggi non ha molti argomenti per distinguersi dai loro pseudo-avversari, l'unica possibilità che ha per tentare di salvare le apparenze è quella di metterla sul piano personale. L'unico torto della destra, per questi signori, non sono le politiche di destra, ma il fatto di essere corrotta. Il problema, non sono quindi le idee e le pratiche, ma gli uomini.
E allora si può anche accogliere a braccia aperte chi resta sempre di destra, ma mantiene intatta una certa reputazione. Si può anche costituire il “fronte degli onesti” e andare all'assalto della fortezza del male, senza preoccuparsi di programmi, ideologie, teorie e prassi.
Presunte differenze ideologiche non bastano a tenere gli uomini divisi se a unirli sono dei comuni interessi.
Ma non sta bene dirlo in giro. Non sta bene dire che i candidati alle elezioni nella regione Lazio vogliono in fondo la stessa cosa, anche se lo dicono in modo diverso.
E allora non è sembrato vero a certi “progressisti” potersi appigliare ai processi per fare persino la parte dei “duri e puri” e degli “intransigenti”.
I temi più importanti sono stati accantonati, perché avrebbero mostrato l'identità delle proposte dei due schieramenti. Vediamo quali contorsioni hanno fatto costoro per ritrovarsi nel letto dei loro avversari.
Economia. La destra vuole limitare l'intervento dello stato e favorire l'iniziativa privata, la sinistra invece vuole espanderlo per tutelare i diritti dei lavoratori e dei più poveri. La destra tende a privatizzare, la sinistra a nazionalizzare. Da che mondo e mondo questa è sempre stata la differenza tra destra e sinistra. Anche il più ignorante la conosceva. Finché sono arrivati i messaggeri dell'Olimpo a dire che ci eravamo sbagliati e che il mercato non è da rifiutare, perché rifiutarlo sarebbe un pregiudizio “ideologico” (ma accettarlo invece no, chissà perché).
Le nazionalizzazioni e il ruolo dello stato sono ciò che prima distinguevano la sinistra dalla destra in campo economico. Governo Prodi, primo e secondo, governo D'Alema. Adesso, dopo la “conversione” è il “centrosinistra” a privatizzare la maggior parte del patrimonio dello stato, tanto per dimostrare alle lobby di essere all'altezza del compito che gli è stato affidato. Si è partiti dalle autostrade e si è arrivati all'acqua.
Lavoro. La sinistra sta con i lavoratori, la destra con i padroni. La sinistra vuole aumentare le tutele sociali, la destra vuole abolirle o ridimensionarle. Semplice, elementare. Questa fino ad alcuni anni fa era la realtà politica. Poi sono arrivati i guru del marcato a sdoganare la “flessibilità” e la difesa degli interessi padronali anche per la (ex) sinistra. Sono arrivati i Biagi (che il fatto di essere stato assassinato non lo rende un martire) e gli Ichino a spiegarci che così non poteva andare e che i lavoratori erano “troppo protetti”, che le aziende dovevano essere libere di licenziare come e quando loro pare. Legge Treu, aggressione allo Statuto dei lavoratori (quello che la sinistra un tempo aveva conquistato) e al divieto di licenziamento senza giusta causa, liberalizzazione totale del marcato del lavoro. Questa gente non si è mai premunita di spiegarci perché un elettore di sinistra avrebbe dovuto votare un professore che, dalla sua cattedra, proponeva politiche di destra da sperimentare sulla pelle dei lavoratori.
Esteri e difesa. La sinistra è contro il militarismo e la guerra, la destra è a favore della guerra. Fu sempre la sinistra a mobilitarsi contro le guerre e i massacri delle potenze imperialiste. La sinistra sostiene da tempo un teoria la cui veridicità è stata ampiamente provata dai fatti: le vere ragioni della guerra non sono “gli interessi nazionali” ma gli interessi capitalistici delle multinazionali. Lo capirebbe anche un bambino.
Serbia, Afghanistan, interventi militari ordinati dal governo D'Alema in piena sintonia con la destra e con quelli che una volta contestavano in piazza ai tempi del Vietnam.
La questione palestinese. La sinistra è sempre stata un alleato fedele dei palestinesi e ha sostenuto la causa di un popolo sotto occupazione, massacrato, torturato e cacciato dalla propria terra e dalla proprie case (sarà pubblicato prossimamente un post su Eresia rossa a riguardo). Poi il revisionismo che tutti sappiamo e si è finito per accettare le menzogne di Israele.
Cultura. La sinistra era dalla parte degli oppressi, siano essi operai, disoccupati, barboni, piccoli delinquenti, zingari, prostitute, immigrati. Questo sembrava un dato di fatto acquisito dalla coscienza collettiva. Per la sinistra l'infrazione non è il risultato di una qualche devianza, ma un fattore sociale, determinato dalla società. Il crimine che viene punito è solo quello delle classi subalterne al contrario dei “crimini dei colletti bianchi”. Il ladro è una vittima anche lui della società che lo ha emarginato e lo ha ghettizzato. Gli immigrati oggetto di razzismo godevano della nostra solidarietà internazionalista. “Gli operai non hanno patria” era il vecchio motto. Poi ci vengono a raccontare che ci eravamo sbagliati, che Marx si era sbagliato e avevano ragione i nostri avversari. E allora i sindaci “di sinistra” cominciano a riempirsi la bocca con le parole “sicurezza”, “tolleranza zero”, come gli sceriffi texani e mettono al bando zingari e immigrati, sgomberano i campi nomadi (dopo aver abbondantemente permesso le ville abusive) e diviene persino lecito per un imprenditore sparare al ladro che gli entra in casa per difendere la proprietà, difeso a spada tratta da codesti sindaci e politici. Nessuno di simili “progressisti” odierni si alzerebbe a dire che una vita umana, fosse anche quella di un ladro, vale più della proprietà e che l'omicidio è in ogni caso un crimine assai peggiore del furto.
La sinistra è contro la repressione, contro l'autorità, contro l'ordine borghese. Adesso Di Pietro è nelle nostre piazze a chiedere “law and order”, come dicono in America, a chiedere l'apertura di nuove carceri, ad opporsi a ogni indulto o amnistia e a santificare i prefetti e i procuratori che autorizzano il pestaggio degli studenti e dei manifestanti causandone spesso la morte.
La sinistra fu protagonista del Sessantotto, degli infuocati anni Settanta e delle lotte che li attraversarono. I “radical chic” di oggi scrivono dalle pagine di Repubblica ripudiando quegli anni, unendosi al coro dei conservatori che fanno di tutto per screditarne la storia e il tentativo di cambiare il mondo, si salvano forse solo i Beatles.
La sinistra vuole l'uguaglianza, vuole che tutti possano soddisfare i propri bisogni biologici e sociali, senza distinzioni di classe.
Oggi fanno i comizi con in bocca sempre la stessa parola: “meritocrazia” dimenticando quanto somigli a un'altra parola, “aristocrazia” (che significa “governo dei migliori”) dimenticando che è un concetto di destra, perché chi è “meritevole” in genere è chi ha i mezzi per potersi creare una istruzione adeguata e chi non lo è, invece, è chi quei mezzi non li ha avuti.
La sinistra sosteneva la causa femminista, difendeva i diritti delle donne, combatteva il maschilismo. Adesso nessuno più si ribella all'immagine della donna che ci viene fornita dalla televisione. L'Unità, quello che era stato il giornale di Gramsci, uno dei padri della sinistra italiana e il suo massimo teorico, mette in prima pagina un paio di chiappe, adeguandosi all'andazzo dei giornaletti che adottano questi mezzucci per vendere più copie (e seguendo quindi, per giunta, la mera logica del profitto).
Persino Rifondazione Comunista, un partito che si vantava di essere rimasto fedele alle proprie idee e alla propria storia senza fare abiure, pochi giorni fa ha diffuso un manifesto con un tacco a spillo in primo piano con l'immagine della falce e martello e sotto la didascalia “le nostre sono donne di classe”.
Bisogna essere “moderni”, “di tendenza” e dobbiamo adeguarci alla moda del momento.

In sostanza la sinistra ha finito per portare avanti le idee della destra, al servizio di quegli stessi interessi che un tempo denunciava. Non c'è da stupirsi quindi che sia sparita. Chi fa il gioco dell'avversario alla fine perde, questa è una regola elementare. Ebbene la sinistra ha fatto proprio questo negli ultimi anni e non ha fatto che perdere finendo alla fine per scomparire definitivamente non dal parlamento, che non sarebbe ancora niente, ma, molto più tragicamente, dalla coscienza delle persone che erano dalla sua parte, che non sanno più cos'è la sinistra e che fanno discorsi di destra.
Un vero peccato se si considera che questa poteva essere una occasione favorevolissima per dimostrare che avevamo ragione, quando mettevamo in guardia dalla sbornia reaganiana, e per rilanciare i nostri programmi. Ma la sinistra è stata uccisa dai suoi stessi figli, quindi non c'era più nulla, ormai, da rilanciare.
Non è una questione di poco conto. Ciò significa che perderemo, come stiamo perdendo, tutti quei diritti, quelle tutele, che gli attivisti, i partiti e le organizzazioni di sinistra erano riuscita ad ottenere. Questo significa che la nostra vita peggiorerà, come sta peggiorando, che pagheremo sulla nostra pelle questa scelta sciagurata e miope.


E allora vi lascio alle note dei Modena City Ramblers, chissà che non sia di buon auspicio.